I Carabinieri del Ros hanno dato esecuzione a un decreto di confisca, emesso, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione nei confronti di Ignazio Pullarà di San Giuseppe Jato. L’uomo è un esponente di assoluto spessore della famiglia mafiosa di Palermo, Santa Maria di Gesù, di cui in passato è stato anche reggente, ed è oggi detenuto poiché condannato alla pena dell’ergastolo per omicidio.
Lo spiccato profilo criminale di Pullarà è emerso anche dal suo coinvolgimento nelle complesse e sanguinose vicende che condussero negli anni ’80 all’eliminazione degli storici capimafia palermitani e dei soggetti a loro vicini e, dunque, all’avvicendarsi al potere dell’ala corleonese a cui si associarono gli esponenti delle articolazioni mafiose palermitane, i quali trovarono così modo di affermarsi dopo il vuoto di potere derivato dalle guerre di mafia.
Il provvedimento di confisca ha evidenziato che la pericolosità di Pullarà non solo deve certamente individuarsi come risalente ad un’epoca ancor precedente alle prime condotte per cui è stato condannato, ma deve anche ritenersi conservata sia durante lo stato di pluriennale latitanza, cessata ad inizio degli anni ’90, e sia pure nel corso della successiva detenzione, alla luce della documentata e perdurante possibilità di incidere nelle dinamiche economiche del sodalizio mafioso e di vedere tuttora riconosciuto il proprio sostentamento in carcere e quello dei familiari.
Il provvedimento ha riguardato dei beni per un valore complessivo pari a circa 1,6 milioni di euro, comprendenti 3 immobili (dove erano dislocate importanti attività commerciali). In particolare, le indagini hanno riconosciuto la riconducibilità all’uomo d’onore dei beni, formalmente di proprietà dei fratelli Antonino e Salvatore Macaluso. Durante le indagini, sono stati puntualmente monitorati, captati e riscontrati i rapporti di frequentazione e i connessi flussi di danaro fra i fratelli Macaluso e alcuni affiliati alla famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, tra cui l’uomo d’onore Gaetano Di Marco, e Santi Pullarà, figlio di Ignazio e anch’egli condannato per la partecipazione all’associazione mafiosa.
L’analisi dei dati derivanti anche da approfondite indagini bancarie, ha consentito di acclarare che Antonino Macaluso, ricevuti i canoni a lui corrisposti dai locatari degli immobili, procedeva sistematicamente, per il tramite di Gaetano Di Marco, a farne avere una cospicua parte a Santi Pullarà. Quest’ultimo in più occasioni manifestava espressamente sia la destinazione delle somme al padre sia la regia di questi in ordine alle questioni salienti afferenti alla gestione di detti immobili, permettendo di rilevare tipiche manifestazioni dell’animus del proprietario (come l’interesse alla messa a reddito, al mantenimento delle condizione strutturali e del valore, la manifestazione di una possibile volontà di alienare i beni fissandone il prezzo).
Inoltre è stata documentata la preoccupazione di Santi Pullarà in ordine all’eventuale concorrenza commerciale di altre grosse aziende impegnate nel settore della distribuzione, intenzionate ad avviare loro attività nei pressi di quelle svolte negli immobili locati. E’ stata rilevata la ferrea intenzione di Pullarà nel pretendere che – a seguito di un incendio dovuto a cause accidentali – uno dei locatari dei magazzini confiscati acquistasse l’immobile da lui utilizzato a una cifra altissima e assolutamente fuori mercato, stimata in due milioni di euro.
Le conversazioni intercettate, del resto, hanno chiaramente dimostrato che Santi Pullarà – oltre ad amministrare il patrimonio immobiliare intestato ai Macaluso nell’interesse e per conto del padre – mosso da autonome idee imprenditoriali da concretizzare negli immobili, si rivolgeva in maniera naturale al contesto mafioso di riferimento.
Infatti, è stato documentato che proprio Gaetano Di Marco ricordava a Santi Pullarà la necessità di chiedere a Giuseppe Greco, esponente di vertice della famiglia di Santa Maria di Gesù, l’autorizzazione per dare corso alle sue iniziative economiche, così come previsto dalle ferree regole di Cosa Nostra per il controllo del tessuto territoriale e imprenditoriale valide anche per gli affiliati.
Infine, è stato valutato come, a fronte delle ingenti risorse economiche gestite dai Pullarà e dell’alto tenore di vita documentato, nessuno degli appartenenti al nucleo familiare abbia mai dichiarato redditi o altre entrate significative. In tale contesto è dunque risultato evidente che la famiglia Pullarà ha potuto contare su risorse di provenienza illecita, con investimenti connessi con l’acquisto dei terreni e con le successive edificazioni degli immobili confiscati, esborsi chiaramente incompatibili con le condizioni economiche rilevabili dai dati ufficiali.