Ci siamo chiesti più volte in scena alla nostra Redazione del perché portare avanti determinate cause e della validità delle nostre tesi, per tale ragione oggi non stilerò un articolo di indignazione ma un “bignami”, una sintesi riduttiva in cui cercherò di argomentare una tesi: perché chiudere il perimetro intorno al Duomo, al complesso Guglielmo e alle piazze è un dovere sociale, un fatto storico, una necessità e una istanza di vivibilità generale.
A primo acchito potrebbe sembrare una provocazione, ma non lo è: potreste pensare che siamo dei retrogradi conservatori che con cieca ostinazione rifiutano di vivere una città del terzo millennio, ma non è così. La storia – e le architetture che parlano di essa – merita rispetto, chiede cura, riverenza, lentezza.
Ma quanti di noi, spostandosi dal Duomo verso la piazza, si sforzano di immedesimarsi nello spazio in cui ci si muove, chi riesce ad immaginare quale fosse il tipo di vita all’epoca della fondazione della prestigiosa basilica e la dimensione urbana intorno al complesso benedettino?
Vivevano dei monaci, poche maestranze e uno sparuto gruppo di persone, lo spostamento per i sentieri in terra battuta era di certo segnato con modello urbano imponente ma ad una dimensione molto umana direi quasi del tutto contemplativa.
Qui il mio disappunto: che rispetto abbiamo oggi di questo lascito?
Viceversa oggi troviamo schiere di persone pronte ad imbracciare un fucile se gli si imbratta il muro di casa, ma se poi a livello generale “tutti” contribuiamo al degrado del Comune Bene chi sarebbe pronto a fare fuoco?
Il concetto equivale a fare la rappresentazione del cittadino medio di oggi: abbiamo gente che deve scorrere veloce su tutto, depredando immagini con azioni che non si chiamano più foto, ma selfie, cibandosi di patatine congelate e non di crocchè e panelle in stile street food siciliano, invece questi spazi gridano silenzi, lentezze, hanno dentro millenari racconti, sono scrigni in cui la luce è guida dello spirito. Sono le stesse ragioni per le quali la gente ascolta la musica “truzza” e non vuole più fermarsi a cercare di capire la musica più antica. Cercare non è più un piacere, non si vuole più pazientare, né tantomeno faticare e tutto ciò che impedisce questo è assolutamente secondario.
Sono pensieri del genere che ci fanno mettere le cartucce a pallettoni su queste pagine.
Altri ricordi vagano per la mente: a chi serve tutto il lavoro fatto dall’architetto Girolamo Naselli Flores e da Maria Andaloro?
Non posso dimenticare quante volte proprio l’architetto Naselli profetizzasse ostinatamente che lo scavo della cripta sotto la Sala San Placido stesse danneggiando l’assetto del Chiostro adiacente e dopo la sua morte infatti le arcate dovettero essere puntellate.
Adesso il gioco si fa duro, perché guardiamo ai manuali di chimica per arrivare ad altre affermazioni giusto perché è con un pò di fatica che vi farò arrivare alla pedonalizzazione della città.
La prima affermazione è banale: il duomo è realizzato con delle “pietre”. Tali elementi lapidei immobili, indifesi non reagiscono al mutare delle condizioni esterne perché non sono esseri umani che si riparano dagli eventi atmosferici. Cosa accade però nell’atmosfera di un microclima cittadino attraversato da auto e non più da cavalli e carretti? Di seguito vi elenco pedissequamente solo pochi dei tanti fenomeni di degrado rilevabili nei nostri monumenti.
Intanto andiamo incontro ad una progressiva azione di Solfatazione delle rocce.
L’anidride solforosa esistente nell’atmosfera si ossida trasformandosi in anidride solforica, che con acqua piovana dà acido solforico, secondo la seguente reazione:
SO2 + O = SO3 SO3 + H2O = H2SO4
In presenza di calcare si ha la rapida fissazione dell’anidride nelle pietre in presenza di catalizzatori (polvere, carbone, ossidi di vanadio e ferro, ecc) o anche di veicoli biologici, che sono sempre presenti nelle croste delle pietre e nello smog.
L’acido solforico attacca i calcari trasformandoli in solfati, cioè in gesso, quindi in un prodotto solubile, secondo la reazione:
H2SO4 + CaCO3 CaSO4 + H2O + CO2
Detto in parole molto semplici il “marmo diventa gesso”. Nelle pietre ciò si rileva per il distacco di scaglie giallastre dalle superfici lapidee, dovute all’aumento di volume del gesso bagnato; la caduta di tali scaglie rivela ampi crateri ben visibili e se guardaste con attenzione rischiereste di notare parecchi fenomeni di questo tipo.
Avete idea di quanto marmo sia presente nel Duomo? E nel Chiostro?
Un processo di carbonatazione dei materiali avviene tramite l’azione dell’acido carbonico, ottenuto dalla combinazione di acqua e anidride carbonica: CO2 + H2O H2CO3.
Si tratta di un acido debole, ad azione lenta, che solubilizza il materiale calcareo attraverso la reazione: CaCO3 + H2CO3 = Ca (HCO3)2 , dove il carbonato di calcio, combinato con l’acido carbonico, dà luogo al bicarbonato di calcio, solubile in acqua.
Tradotto in parole più semplici le pietre diventano Bicarbonato come quello che utilizzate a casa per curare il bruciore di stomaco!
La presenza di acqua acida è responsabile anche dell’alterazione dei materiali silicatici (pietre arenarie, tufi vulcanici, graniti, vetro e componenti silicatici dei materiali artificiali). Le reazioni attivate conducono alla solubizzazione o alla cosiddetta “argillificazione” e avvengono mediante la sostituzione degli ioni di idrogeno, contenuti nell’acqua acida, con ioni che fanno parte del reticolo cristallino del materiale, ad esempio ioni potassio o sodio.
Per non parlare del lungo elenco delle alterazioni fisiche che si attuano mediante sforzi di carico e sollecitazioni, anche a livello molecolare. Spesso si presentano delle tensioni da carico con deformazioni piùo meno reversibili sino ad arrivare alla rottura dell’elemento sollecitato.
La gelività e i relativi fenomeni di variazione di volume che accompagnano il passaggio di stato da liquido a solido provocano notevoli danni e degradi.
La stessa acqua già inquinata che entra nell’elemento lapideo provoca la formazione di una soluzione liquida in cui i sali vengono condotti dall’esterno all’interno del materiale. La conseguente evaporazione consente la cristallizzazione di questi sali e il danneggiamento del materiale. Gli effetti dovuti alla cristallizzazione si diversificano in funzione della velocità di evaporazione dell’acqua; se questa è superiore alla velocità migratoria della soluzione entro il materiale, la cristallizzazione avverrà all’interno del muro e produrrà tensioni sulle pareti dei pori (subflorescenza). Se invece l’acqua evapora più lentamente e la soluzione ha la possibilitàdi risalire in superficie, la cristallizzazione dei sali apporterà unicamente danni di tipo estetico (efflorescenza). La crescita di volume dei cristalli in senso parallelo alla parete comporterà il distacco del materiale, in senso ortogonale provocherà fenomeni di corrugamento superficiale.
Un altro effetto molto negativo e comune alla maggior parte delle strutture architettoniche, soprattutto, in ambiente urbano è dovuto alla presenza di volatili apparentemente innocui. Il guano prodotto dagli uccelli è infatti una fonte di sali solubili molto pericolosi, soprattutto nitrati, e costituisce con la sua parte organica un ottimo substrato per lo sviluppo di funghi e batteri. A questi effetti dannosi di tipo chimico, biologico, va aggiunto il danno estetico prodotto dalla presenza del guano, che certo non è meno importante dei precedenti.
Dobbiamo dunque temere la perdita netta di materiale definita “erosione”, che si verifica soprattutto nelle zone esposte all’azione dilavante della pioggia, “l’annerimento” o sporcamento determinato dal deposito delle particelle carboniose sulla superficie dei nostri monumenti, che si verifica invece nelle zone protette dalla pioggia e altresì paventare “lo stress fisico” (determinato da fattori climatici e microclimatici), unito alle vibrazioni trasmesse dal costante e intenso traffico veicolare.
Ad oggi non possiamo determinare correttamente l’influenza del particolato sullo stato di conservazione del nostro Patrimonio Unesco, al fine di avere elementi utili bisognerebbe conoscere i dati di concentrazione degli inquinanti, la loro composizione chimica. La comprensione dei meccanismi di deposizione del particolato si basa inoltre sulla conoscenza dei parametri termoigrometrici, che permette di valutare quello che viene definito l’indice di stress fisico, che tiene conto dell’interazione termica e dell’umidità tra ambiente e materiale.
Lo sporcamento dipende anche dal contenuto di acqua negli strati superficiali del materiale; infatti, esso favorisce l’aumento dell’efficienza di cattura da parte di una superficie bagnata, causando un maggiore deposito degli inquinanti presenti in atmosfera.
Potevo continuare impinguando questa dissertazione con vari trattati, ma vi rimanderò alla breve bibliografia di supporto cui ho fatto riferimento per la parte più scientifica e di approccio metodologico.
Le considerazioni finali vanno a individuare la tematica centrale di partenza secondo cui non è sostenibile un approccio alla molteplicità monumentale, espressa dalle emergenze architettoniche, sulla base di un saccheggio continuo e di un uso indiscriminato degli spazi. Per tutta la serie di motivazioni inerenti il rischio continuo e incessante dovute all’aggressione chimica di cui sopra, e in secondo luogo perché è necessario cercare di imporre uno stile di vita in cui i monumenti siano occasione di progettualità e non di malintesa urbanistica.
Qui ci si improvvisa, circondati da politicanti troppo provinciali e non da politici, nel rabberciare soluzioni e nel dimostrare una profonda immensa inadeguatezza culturale.
Bisogna leggere la città segmentando i livelli di analisi dal piccolo elemento a quello più macroscopico e complesso, si dovrebbe agire in considerazione della unicità e della irripetibilità dei temi che si presentano, proponendo un restauro urbano, urbanistico e ambientale diretti al fine della conservazione dei valori culturali presenti.
Salvatore Boscarino parla di intervenire nei centri storici secondo logiche non dettate da pure economie di profitto (uso privato e irrispettoso di qualunque natura), ma vede “necessaria la ricerca di condizioni non tecnocratiche o industrializzate, indirizzate su una scala di interventi di piccola dimensione da perseguire possibilmente con la presenza degli abitanti”.
Ci suggerisce in pratica di ridefinire il rapporto con la storia partendo dalla scala di quartiere per arrivare a quella più grande, cercando il consenso della popolazione, perchési possa guadagnare una dimensione urbana e storica ormai dimenticata.
Eliminare totalmente il traffico auto equivale a preservare la caratteristica delle architetture esistenti, significa riconoscere l’istanza estetica che corrisponde al fatto basilare dell’essere “opera d’arte”, per cui il monumento viene riconosciuto tale e il preservare la fisicità dei beni garantisce la loro trasmissione al futuro.
Il valore storico di un monumento è tanto più alto quanto più si apprezza il grado in cui si manifesta lo stato originale e concluso del monumento o in questo caso del complesso urbano, pertanto: se la meta è la conservazione ne consegue che una Amministrazione seria non possa consentire che i taxi passino sotto l’Arco degli Angeli, che le piazze siano il raduno serale dell’automobil club e della chincaglieria turistica, ciò equivarrebbe a vandalizzare l’immagine del Cristo Pantocratore.
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