E’ stata commissariata pochi giorni fa, a seguito dell’operazione dei carabinieri che si è conclusa con il sequestro di beni per 1,5 milioni alla famiglia di Torò Riina (leggi qui). L’azienda agricola “Santuario Maria santissima del Rosario di Tagliavia”, che si trova sui terreni di 155 ettari della Curia di Monreale era gestita da persone vicine a Totò Riina (leggi qui).
Adesso arriva un’altra svolta, l’avvocato Giuseppe Li Greci, amministratore giudiziario nominato dal tribunale Misure di prevenzione di Palermo ha licenziato in tronco un dipendenti particolare. Non solo perchè era l’unico, ma soprattutto perchè è il figlio di Vincenzo Di Marco, giardiniere e autista della famiglia Riina, nonché nipote di Antonino, l’ultimo reggente del mandamento. Il licenziamento di Francesco Di Marco è stato immediatamente firmato dal nuovo presidente delle Misure di prevenzione, Raffaele Malizia.
Ma ad essere allontanati dall’azienda, sono altre due persone, due pastori che avevano il diritto di pascolo sulle terre dell’azienda. Uno dei due pastori è il nipote della moglie di Giovanni Grizzaffi, il nipote di Riina scarcerato all’inizio di luglio dopo trent’anni di carcere, detto il “messia”, l’uomo che dovrebbe risollevare le sorti del clan di Corleone. Tutti i terreni saranno affidati alla missione Speranza e Carità di Biagio Conte, che già ne gestisce una parte.
Adesso i carabinieri di Corleone e del Ros stanno cercando di far luce su diversi misteri di Tagliavia. A partire dai fondi europei che ha incassato l’azienda. Negli ultimi anni più di un milione di euro tra soldi europei e fondi per il rimboschimento. Gli investigatori e l’amministratore giudiziario hanno verificato che i contributi non sono stati mai contabilizzati e non risultano da nessuna parte.
Il caso Tagliavia era scoppiato già nel 2014, le intercettazioni disposte dalla procura avevano fatto emergere una lite per la gestione dei terreni. Da una parte i Di Marco, dall’altro i Lo Bue. Della questione sarebbero stati informati “Salvuccio”, ovvero Salvo Riina e la “signora”, la moglie del padrino. Il verdetto era stato chiaro, ribadito da Antonino Di Marco, insospettabile dipendente del Comune di Corleone e capomafia: “I terreni restano ai Di Marco”.