Sono 24 le ordinanze di custodia cautelare, di cui 19 in carcere e 5 ai domiciliari, emesse dal Gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica, nei confronti dei componenti di un’associazione specializzata nel traffico droga. Le indagini coordinate dal Procuratore della Repubblica, Francesco Lo Voi, dal Procuratore aggiunto, Teresa Principato, dai Sostituti della Dda Siro De Flammineis e Annamaria Picozzi, in collaborazione con i Sostituti Procuratori Bruno Brucoli e Silvia Benetti, sono state condotte dai militari del Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Palermo San Lorenzo. L’indagine, denominata “Teseo”, è stata avviata nel novembre 2015.
L’organizzazione dedita allo spaccio di stupefacenti, era retta da un triumvirato composto da Antonino Mazza, Massimiliano Zarcone, Salvatore Bonura. I tre, sono ritenuti “promotori” delle attività con funzioni direttive su diversi “pusher”, il cui operato è sempre stato supervisionato da due “fiduciari”, Salvatore Catanzaro e Paolo Puleo, intermediari tra il vertice e la manovalanza e deputati a gestire le scorte di droga, la ripartizione delle dosi e la raccolta del denaro realizzato.
È emerso, in maniera inequivocabile, come una regia comune guidava l’operato dei singoli pusher, poiché tutti gli indagati comunicavano costantemente tra loro e scambiavano gli involucri costituenti le piccole scorte di sostanza stupefacente e addirittura le somme di denaro del provento illecito. La droga era nascosta in luoghi differenti in base alla tipologia (cocaina, hashish e marijuana), confezionata secondo modalità precise e costanti nel tempo (stecchette di hashish, bustine di marijuana, piccoli involucri a goccia per la cocaina). Il lavoro dei pusher era regolato secondo una suddivisione in “turni”, cosicché ad una prima fase che comprendeva tutta la mattinata, seguiva una seconda che abbracciava l’intero pomeriggio, fino alla sera, dopodiché, la notte fino alle 8 circa; ad ogni cambio turno, è stato puntualmente rilevato un metodico “passaggio di consegne” – ossia il conteggio e l’eventuale ripartizione delle dosi avanzate e del denaro ricavato – tra gli spacciatori che coprivano il turno appena terminato e coloro che subentravano.
Significativo, inoltre, è ciò che è accadeva quando i militari del Nucleo Operativo o della Stazione Carabinieri di San Filippo Neri intervenivano nell’area d’interesse, procedendo all’arresto di uno o più pusher ed al rinvenimento e sequestro delle dosi di droga astutamente occultate in più anfratti: i “capi” intervenivano sui luoghi, ispezionandoli ed impartendo direttive ai gregari, poiché i traffici dovevano proseguire, dimostrando particolare dimestichezza nel far fronte alle sopravvenute esigenze. Scendere in piazza, farsi vedere in mezzo ai padiglioni da tutti gli altri pusher ancora presenti e non arrestati dai Carabinieri, rassicurava la “piazza” e allo stesso tempo veicolava un’immagine di potenza ed immunità nei confronti delle azioni dei Carabinieri.
Il sodalizio, in sostanza, si attivava prontamente dopo l’arresto di un pusher, poiché, dopo un breve periodo verosimilmente destinato alla riorganizzazione, veniva sostituito da altri complici, così come i diversi tipi di sostanza stupefacente trovavano altre collocazioni tra i veicoli posteggiati o nei punti ritenuti più congeniali all’interno degli androni e dei corridoi dei padiglioni o, ancora, nei terreni incolti circostanti. A fronte di un intervento dei Carabinieri, pertanto, l’attività di spaccio non si fermava, poiché il sodalizio si riorganizzava prontamente e, con sfacciata pervicacia, rimediava all’arresto di uno o più pusher reclutando nuove leve tra persone nuove e poco conosciute che, reiterando la condotta criminale, assicuravano continuità agli affari. Spesso erano gli stessi indagati arrestati o denunciati a replicare, dedicandosi alle consuete occupazioni, già a partire dal giorno successivo all’intervento dei Carabinieri, come accaduto per Salvatore Catanzaro, Nunzio Brancato e Benedetto Moceo, quest’ultimo vittima del tentato omicidio proprio nei padiglioni dello Zen da parte del figlio.
Periodicamente, i pusher venivano approvvigionati da altri complici delle dosi necessarie ad alimentare l’attività di spaccio. In ogni caso, è significativo come tutto accadesse in un ristretto spazio tra via Pensabene – via Nadi – via Costante Girardengo, all’interno di un’area costantemente presidiata dagli arrestati. L’organizzazione, inoltre, era caratterizzata dal vincolo derivante dal rapporto parentale, poiché ad essa partecipavano, a vario titolo, componenti della stessa famiglia, come per il nucleo composto da Massimiliano Zarcone, Elena Billeci e Antonino Zarcone, nonché quello composto da Antonino Mazza e dal figlio Gabriele, famiglie, peraltro, legate da ulteriori vincoli nati dall’unione dei rispettivi figli.
Sintomatico, al fine di comprendere il contesto in cui si sviluppavano le attività illecite oggetto dell’indagine, il fatto che l’organizzazione non disdegnasse di svolgere tutte le operazioni connesse con l’attività di spaccio avvalendosi anche di un soggetto (all’epoca) minorenne ed operando a poca distanza da una scuola elementare. L’attività di spaccio, inoltre, non veniva quasi mai svolta da un solo pusher, ma erano costantemente attivi due o più soggetti i quali, talvolta, si suddividevano le sostanza stupefacenti da spacciare (marijuana e hashish uno e cocaina l’altro) e, a prescindere, offrivano reciproca copertura e una più attenta vigilanza, a fronte del rischio di incursioni dei Carabinieri. Il continuo monitoraggio ha infatti permesso di ritrarre alcuni episodi di vita quotidiana propri di alcuni componenti dell’associazione. Un esempio emblematico delle “contromisure” adottate è rappresentato da chi, durante il proprio “turno” giornaliero, verificava la presenza delle forze dell’ordine o di eventuali telecamere mediante l’utilizzo di un “binocolo”.
Le attività di riscontro effettuate nel corso dell’indagine, oltre alle 29 segnalazioni di assuntori di droga all’autorità amministrativa, hanno già consentito di arrestare in flagranza di reato 22 persone, responsabili di singoli episodi di spaccio e detenzione. Il guadagno giornaliero ipotizzato dai militari e di circa 2 mila euro al giorno. A tenere la contabilità dell’associazione era Elena Billeci, moglie di Massimiliano Zarcone. La donna annotava le somme di denaro ricavate da ciascun pusher ed il numero delle dosi distribuite durante il turno.