Continuano le indagini intorno a Khadiga Shabbi, la ricercatrice libica dell’Università di Palermo, al centro di un’indagine per istigazione al terrorismo (leggi qui). La donna è sottoposta all’obbligo di dimora nel capoluogo siciliano e gli inquirenti stanno ricostruendo la rete di contatti in città della donna. A cinque suoi conoscenti – un cittadino tunisino, un marocchino, due libici e una palestinese anche lei impegnata nello svolgimento di una borsa di studio all’università – la Digos ha sequestrato computer, telefonini e pendrive. Formalmente non risultano indagati, ma qualcuno di loro ha chiesto di essere assistito da un legale.
Tutto il materiale sequestrato, anche se è stato trovato a casa degli amici della Shabbi, è ritenuto appartenente o comunque “di pertinenza” della donna. Il gruppo di amici sono “sospettati di condividere con lei idee e posizioni filo-jihad e pro Isis, avendo scambiato opinioni e ricevuto informazioni, che la ricercatrice aveva in anteprima anche rispetto ai media libici e internazionali”. Gli inquirenti vogliono capire se la docente facesse “propaganda” o se la sua attività fosse più pericolosa.
La ricercatrice universitaria libica di 45 anni, che la Procura di Palermo voleva arrestare con l’accusa di istigazione al terrorismo, è al centro di un braccio di ferro tra l’ufficio inquirente e i Gip. Al momento la donna ha avuto dal giudice solo l’obbligo di dimora nel capoluogo siciliano. Contro il mancato arresto della Shabbi la Procura, coordinata da Franco Lo Voi, ha già fatto appello al tribunale del riesame: sarà discusso il 15 gennaio. Ma intanto l’inchiesta dei pm Gery Ferrara e Emanuele Ravaglioli va avanti. Proprio gli intrecci di conversazioni telefoniche e via chat, i post condivisi su Facebook e su altri social network, sono alla base di questo allargamento delle indagini.