Fu una truffa per una partita di eroina la causa, il 30 giugno di 60 anni fa, di una delle stragi più sanguinose della mafia a Palermo: a Ciaculli, borgata alle porte del capoluogo siciliano, le foglie degli alberi di mandarino tardivo divennero rosse del sangue di sette servitori dello Stato. Morirono quattro carabinieri, due militari dell’esercito e un agente di polizia, dando il via con il loro sacrificio a una prima riscossa (o resurrezione) dello Stato. Cosa nostra palermitana aveva scoperto da qualche anno il business dell’eroina, e inevitabilmente gli appetiti dei clan si erano scatenati. Da un lato, con il favore del corlenonese Luciano Liggio, c’era Salvatore Greco (detto Cicchiteddu); dall’altro, i fratelli Salvatore e Angelo La Barbera, capimafia di palermo centro. La droga viaggiava sull’asse Palermo-New York, ma nella città statunitense un giorno ne arrivò di meno rispetto a quanto pattuito: l’accordo era stato violato, ebbe inizio la prima guerra di mafia.
La mattina del 30 giugno, tra diverse segnalazioni di “Giuliette” sospette (una era esplosa qualche giorno prima e si era trattato di un attentato mafioso), ne era arrivata una alla caserma dei carabinieri di Roccella: l’auto si trovava in una strada di campagna, oggi sommersa dai rifiuti, a Ciaculli, presso i fondi dei fratelli Salvatore e Giovanni Prestifilippo, parenti di Salvatore Greco. I carabinieri si recarono sul posto, e trovarono l’auto abbandonata e dentro questa una bombola di gas da cui veniva fuori una miccia. Giunsero gli artificieri dell’esercito: la bombola, accertarono, era vuota. La tensione diminuì, i nervi si rilassarono: era il momento di esaminare l’auto con maggior serenità. Ma la bomba, quella vera, era in attesa: quando venne aperto il bagagliaio, esplose e spazzò via tutto ciò che vi era intorno. Giorni, settimane e mesi dopo in Sicilia lo Stato fece avvertire la propria presenza: giunsero nell’isola migliaia di carabinieri, a Roma nacque la prima Commissione parlamentare Antimafia, Cosa Nostra si inabissò ma non scomparve. Nell’attentato morirono per l’esplosione: Mario Malausa, Silvio Corrao, Calogero Vaccaro, Eugenio Altomare, Mario Fardelli, Pasquale Nuccio, Giorgio Ciacci.
“La Sicilia intera non dimentica il sacrificio di sei servitori dello Stato vittime della violenza stragista della mafia e ne onora, con gratitudine, la memoria. Il ricordo di quanti sono caduti combattendo cosa nostra è un monito perenne per le istituzioni e per i cittadini a operare a difesa dei valori della legalità che sono presupposto essenziale per l’affermazione della democrazia e di un sano e diffuso sviluppo economico e sociale”. Ha detto il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, in occasione del sessantesimo anniversario della strage.
“A sessant’anni dalla strage di Ciaculli, è doveroso ricordare il sacrificio di chi ha combattuto, con profondo senso del dovere, per lo Stato nel contrasto a Cosa nostra. Quell’attentato ha rappresentato una delle pagine più sanguinose della prima guerra di mafia e la città non dimentica di rendere onore ai militari di Carabinieri, Esercito e Polizia di Stato caduti nell’agguato”. Ha affermato il sindaco di Palermo Roberto Lagalla.
La giornata in ricordo dei caduti è proseguita presso il Complesso monumentale dello Steri, a Piazza Marina, dove si è tenuto un convegno dal titolo “La strage di Ciaculli del 30 giugno del 1963, una lettura sessanta anni dopo”. Un’attenta analisi storica e al contempo un’occasione di riflessione che ha aperto i suoi lavori sulle note della Fanfara del XII Reggimento Carabinieri Sicilia. Il convegno, moderato da Giovanni Pepi, è iniziato con il saluto di Massimo Midiri, rettore dell’Università degli Studi di Palermo, per poi proseguire con gli interventi del Generale Castello, di Gioacchino Natoli già presidente della Corte di Appello di Palermo e di Manlio Corselli, docente dell’Ateneo. Il Comandate della Legione Carabinieri “Sicilia” ha sottolineato come la strage si colloca storicamente nel corso della prima guerra di mafia e di come centrale è stata la figura del tenente Mario Malausa, arrivato volontario a Palermo. Un periodo di grande importanza, di risveglio delle coscienze, durante il quale le istituzioni dello Stato ed i cittadini iniziarono a porre attenzione alla complessità del fenomeno mafioso. È stato lo stesso Generale Castello a chiudere l’incontro con l’auspicio di lavorare sulle nuove generazioni, ricordando con le sue parole Padre Pino Puglisi che per cambiare la mentalità mafiosa ha speso la sua vita a fianco dei più giovani.
Alla cerimonia hanno partecipato il prefetto di Palermo Maria Teresa Cucinotta, il comandate militare dell’Esercito in Sicilia Generale di Divisione Maurizio Angelo Scardino, il comandante della Legione Carabinieri “Sicilia” Generale di Divisione Rosario Castello e l’assessore Alessandro Aricò in rappresentanza del presidente della Regione, nonché altre autorità militari e civili, insieme ad una rappresentanza dei familiari delle vittime e delle associazioni combattentistiche e d’Arma.