Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza hanno dato esecuzione ad un Decreto di Sequestro preventivo emesso dal Gip presso il Tribunale di Palermo, Pino su richiesta del Procuratore Aggiunto Teresa Principato, ed i Sostituti Procuratori Paolo Guido e Carlo Marzella della Procura della Repubblica di Palermo diretta dal Procuratore Capo Franco Lo Voi, nei confronti dei patrimoni di: Vito Gondola, di Mazara del Vallo (TP) allevatore pluripregiudicato, reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo; Michele Gucciardi, di Salemi (TP) imprenditore agricolo pregiudicato, reggente della Famiglia mafiosa di Salemi; Giovanni Domenico Scimonelli, imprenditore pregiudicato, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Partanna e Pietro Giambalvo allevatore pregiudicato, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Santa Ninfa (TP). I soggetti sono detenuti dallo scorso 3 agosto nell’ambito della'Operazione Ermes per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e favoreggiamento aggravato dalla modalità mafiosa per aver agevolato la latitanza del noto boss Matteo Messina Denaro. Il Giudice ha emesso i provvedimenti ablativi condividendo le risultanze delle approfondite indagini di natura patrimoniale condotte da investigatori del Servizio Centrale Operativo e delle Squadre Mobili di Palermo e Trapani, del G.i.c.o. della Guardia di Finanza di Palermo e del R.O.S. Reparto Anticrimine dei Carabinieri di Palermo. Il sequestro riguarda beni mobili, immobili ed aziende, site in Mazara del Vallo, Castelvetrano, Salemi, Partanna, Santa Ninfa e Trapani per un valore totale stimato in circa 13 milioni di euro. In particolare sono stati sequestrati: 8 aziende ed 1 quota societaria (supermercati, aziende agricole e d’allevamento ovino); 68 immobili (27 fabbricati e 41 terreni); 2 autovetture e 36 rapporti finanziari e bancari. Le indagini patrimoniali hanno evidenziato il palese disvalore tra i redditi dichiarati dagli indagati ed i beni posseduti, per cui il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, si rendeva urgente e necessario anche al fine di scongiurare eventuali alienazioni a prestanomi o a terzi. Recenti indagini avevano evidenziato, infatti, come sia il Gondola che lo Scimonelli, dopo essere stati tratti in arresto, avessero dato mandato ai loro congiunti di vendere parte dei propri beni a terzi proprio per evitare eventuali provvedimenti di sequestro. I destinatari del provvedimento erano rimasti coinvolti nelle indagini svolte da investigatori del Servizio Centrale Operativo e delle Squadre Mobili di Palermo e Trapani, finalizzate alla cattura del latitante Messina Denaro, che avevano consentito di individuare, fin dai primi mesi del 2012 alla data di esecuzione dei provvedimenti restrittivi la rete di veicolazione dei pizzini diretti al latitante o originati dallo stesso e destinati alle diverse famiglie mafiose della provincia di Trapani. Rete che si strutturava grazie a riservatissime comunicazioni tra i predetti uomini d’onore che, al fine di eludere le investigazioni dirette alle loro persone, utilizzavano alcuni insospettabili soggetti per fissare discreti appuntamenti in isolatissimi luoghi delle campagne tra Salemi, Mazara del Vallo, Santa Ninfa e Partanna. In particolare, gli inquirenti evidenziano il ruolo apicale di Vito Gondola in tale struttura (soggetto, peraltro, investigato anche dal R.O.S. dell’Arma dei Carabinieri, le cui indagini contribuivano a rafforzare il quadro probatorio emerso a suo carico). All’anziano mazarese, come rilevato da importanti intercettazioni, era stato attribuito il gravoso compito di gestire i tempi ed i modi di consegna e distribuzione della “corrispondenza” del Messina Denaro. Lo stesso capomafia mazarese aveva dovuto individuare dei “tramiti” (così denominava i soggetti di fiducia lo stesso latitante in scritti in precedenza sequestrati), di provata affidabilità per poter interloquire in maniera riservata con altri capimafia, quali Michele Gucciardi, Pietro Giambalvo e Giovanni Domenico Scimonelli. "La trasmissione della riservata corrispondenza – spiegano gli investigatori – per quanto emerso, avveniva con cadenza trimestrale e con modalità dettate dallo stesso latitante che, evidentemente al fine di scongiurare ogni possibile tentativo da parte degli investigatori di risalire alla filiera di trasmissione dei pizzini, aveva deciso di evitare più frequenti contatti con i suoi accoliti". Lo scambio dei messaggi avveniva in aperta campagna, "nell’occasione – aggiungono gli investigatori – dei menzionati incontri tra gli indagati che, pure in quei casi, usavano la massima accortezza nel linguaggio per riferirsi al latitante o alle dinamiche criminali sottese alle direttive da questi impartite mediante gli stessi riservati messaggi".