Migranti/3, chi sono? Eritrei, libici, somali: scappano dalla guerra e dalla povertà

Redazione

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Migranti/3, chi sono? Eritrei, libici, somali: scappano dalla guerra e dalla povertà
Chiedono un telefono per parlare con i loro familiari

18 Gennaio 2016 - 00:00

Al porto di Palermo sono arrivati in 1.169 all'1.45 del mattino. Sono migranti originari della Siria, dell’Eritrea e della Somalia, recuperati in mare da una nave militare. Fra loro 816 uomini, 298 donne e 55 bambini. Fra questi ci potrebbero essere minori non accompagnati. Si tratta del primo sbarco del 2015 per Palermo che inaugura così la stagione dell’emergenza. E i numeri parlano chiaro. Oltre mille persone da sistemare in 24 ore sul territorio, insieme alle altre duemila che hanno raggiunto le coste siciliane. Ecco perché la prefettura ha subito convocato la task force con tutti i soggetti coinvolti, a cominciare dal sindaco Leoluca Orlando, che ha partecipato alle operazioni di sbarco dei migranti. A Monreale arrivano poco prima dell’alba. I volontari della protezione civile ed i servizi sociali li rifocillano immediatamente con bevande calde e qualcosa da mangiare. Attendono il sorgere del sole per cominciare la loro lunga scarpinata verso Palermo. Un sacchetto di plastica in mano con qualche indumento, una bottiglia d’acqua. Nient’altro. Alcuni non indossano nemmeno le scarpe. “Guerra, guerra”, dice uno di loro. Ci fa capire chiaramente che il motivo della loro fuga è solo uno. Un altro vuole un telefono: “Mia madre è in Sicilia”. Trovarla sarà un’impresa e molto complicato. Un gruppetto è fermo al semaforo con via Venero. “Palermo?”, ci chiede un ragazzo distrutto dalla fatica e bruciato dal sole. L’obiettivo è raggiungere la città. “Ho 19 anni, voglio andare in Europa”, dice forse nemmeno consapevole di esserci già arrivato nel Vecchio Continente. I loro visi raccontano drammi inimmaginabili, storie che fanno rabbrividire: guerra, povertà, fame, uccisioni di bambini e gli stessi che vengono sacrificati come militari, facendogli imbracciare un fucile per farli andare a combattere nei villaggi una battaglia senza senso. Spesso questi ragazzini, chi ha 13, chi 14 anni, vengono drogati, incattiviti con lavaggi del cervello, puniti. Chi subisce tutto questo vuole solo scappare. E lo fa dopo viaggi estenuanti, che durano a volte anche mesi, pagando cifre, per loro, astronomiche per imbarcarsi su una barca che non è detto arrivi al sicuro nelle coste italiane. Poi toccano il suolo, si guardano in giro. Sono spaesati. Il loro viaggio, però, non è ancora finito…

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