Il Gup del tribunale di Palermo Elisabetta Stampacchia ha inflitto 19 condanne ai boss di Cosa nostra e ai loro gregari appartenenti al clan cosiddetto degli scappati: gli Inzerillo, gli Spatola, i Buscemi e gli altri che negli anni ’80 dovettero riparare negli Stati Uniti di fronte all’offensiva violenta dei corleonesi di Totò Riina.
Accolte le tesi del Pool coordinato dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca è composto dai pm Pierangelo Padova, Dario Scaletta, Giovanni Antoci e Amelia Luise (oggi alla Procura Europea). Fra gli Inzerillo la pena più alta è toccata a Tommaso, 16 anni, considerato il boss della borgata Uditore Passo di Rigano. Il cugino Francesco Inzerillo, detto Franco u Truttaturi, fratello di Salvatore detto Totuccio, ucciso l’11 maggio 1981, all’inizio della guerra di mafia, ha avuto 11 anni e 4 mesi, meno di quanto è toccato ad Alessandro Mannino, 12 anni e 4 mesi, e a Giuseppe Spatola, 12 anni. Condanne pesanti anche per Giovanni Buscemi, 14 anni, e poi per Giuseppe Sansone, 11 anni 8 mesi, Benedetto Gabriele Militello, 11 anni e mezzo, Antonino Fanara, 11 anni e 4 mesi, mentre Santo Cipriano e Antonio Di Maggio hanno avuto 10 anni e 8 mesi a testa, così come Giuseppe Lo Cascio. Pene meno rilevanti per gli altri imputati: Paolina Argano, un anno e sei mesi; Alfredo Bonanno 2 anni e 4 mesi; Veronica Cascavilla 2 anni e 4 mesi; Salvatore Lapi 2 anni e 2 mesi; Tommaso La Rosa 3 anni; Alessandra Mannino due anni e due mesi; Rosalia Purpura 2 anni e 2 mesi. Assolti tre imputati che rispondevano di reati minori. Si tratta di Maurizio Ferdico, Antonino Intravaia e Fabio Orlando. Un’altra condanna a tre anni è stata inflitta a Giovanni Buccheri.
Il blitz New Connection, che oggi è sfociato nelle 19 condanne inflitte dal giudice di Palermo Elisabetta Stampacchia, fu portato a termine dalla sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo nel luglio 2019. Fu fondamentale per svelare il ritorno in Italia e ai vecchi affari da parte dei boss sfuggiti alla mattanza corleonese di 40 anni fa. Un genocidio che fece un migliaio di morti, tra persone uccise in luoghi pubblici e altre fatte sparire col metodo della lupara bianca, iniziato proprio con gli omicidi di Stefano Bontate, il cosiddetto Principe di Villagrazia, e di Totuccio Inzerillo, all’anagrafe Salvatore, fratello di uno dei condannati di oggi, Francesco detto Franco u Truttaturi, il trottatore, cugino di Tommaso. Furono questi due delitti, clamorosi per l’epoca, ad aprire un conflitto senza esclusione di colpi, che vide i mafiosi della vecchia Cosa nostra soccombere ben presto di fronte ai corleonesi, capitanati da Totò Riina, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano, alleati dei “sangiuseppari”, i Brusca di San Giuseppe Jato oltre che di molte famiglie del capoluogo siciliano. Fu un voltafaccia imprevisto, nei confronti di Bontate e Inzerillo, negli anni ’70 triumviri di Cosa nostra assieme a un altro boss “posato” e costretto a scappare: Gaetano Badalamenti, poi catturato in Spagna nel 1984 ed estradato negli Stati Uniti, dove finì di vivere in carcere, a Fairton, nel 2004.
Un clan, quello degli Inzerillo, Spatola, Gambino e Buscemi, che non si era arreso ed era rientrato tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, suscitando anche un vivo dibattito nel gruppo di potere mafioso di quel periodo. Nettamente contrario il “corleonese” Nino Rotolo, capo clan di Pagliarelli, che non si fidava e temeva vendette, mentre Salvatore Lo Piccolo contava sui soldi che gli scappati avevano fatto oltreoceano. Bernardo Provenzano, al solito, si manteneva ambiguo e ondivago, in attesa degli eventi. Finì con gli arresti prima di Rotolo, coinvolto nel blitz denominato Gotha e paradossalmente arrestato proprio assieme ad alcuni degli Inzerillo, e poi con la cattura del “barone” Lo Piccolo, avvenuta un anno e mezzo dopo, a novembre 2007, a Giardinello (Palermo). Nel tempo i legami fra Italia e Stati Uniti dal punto di vista criminale sono stati dimostrati in altre indagini, da Iron Tower a Paesan Blues, fino ai recenti accertamenti che hanno ribadito le reciproche influenze mafiose. Gli Inzerillo, molto cauti, non si erano esposti in prima persona nei tentativi recentissimi di rifondare la commissione di Cosa nostra, ma avevano mandato avanti Giovanni Buscemi, non a caso l’uomo che è stato condannato alla pena più alta, oggi, dopo Tommaso Inzerillo. Una cautela che non è stata sufficiente per evitare le condanne da parte del Gup Stampacchia. AGI