I Carabinieri della Compagnia di Carini hanno dato esecuzione nelle prime ore del mattino ad un’ordinanza di custodia cautelare che ha interessato sette persone: 4 sono state tratte in arresto in Italia (di cui 1 in carcere e 3 agli arresti domiciliari) mentre per le restanti 3 sono in corso le procedure per la rogatoria internazionale essendo state localizzate all’estero. Concordando con le risultanze investigative dell’Arma, l’ordinanza è stata emessa dal Gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della locale D.D.A., nei confronti degli indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere internazionale finalizzata al compimento di più reati contro la persona tra cui “tratta di persone”, “sequestro di persona” e “sottrazione e trattenimento di minore all’estero, aggravata dal fatto che il gruppo criminale organizzato era impegnato in attività criminali in più di uno Stato. Le indagini, condotte dal Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Carini e coordinate dal Procuratore Aggiunto Maurizio Scalia e dal Sostituto Procuratore Geri Ferrara, partite nell’autunno 2012, inizialmente nell’ambito dell’attività svolta per individuare gli autori dell’incendio dell’Hotel “Porto Rais”, hanno consentito di ricostruire l’organigramma di un’associazione per delinquere internazionale celata dietro l’attività di una società di sicurezza norvegese denominata “ABP World Group”. La società, munita tra l’altro di sito internet ufficiale, è risultata essere né più né meno che un vero e proprio sodalizio di contractors, per la maggior parte veterani dei corpi speciali delle Forze Armate di mezzo mondo, disposti a mettere le proprie capacità operative al servigio di chiunque fosse disposto a pagarli abbastanza profumatamente. Tra i servizi offerti dall’organizzazione c’è anche il “recupero” di bambini contesi tra genitori di nazionalità diverse. In tali casi la società si curava di organizzare vere e proprie missioni paramilitari in cui si prevedeva la ricognizione dei luoghi, in cui i bambini erano trattenuti da uno dei genitori, e l’organizzazione dell’operazione di “recupero”, che si circostanziava in veri e propri sequestri di persona con l’utilizzo di mezzi, attrezzature e spesso armi reperite dai referenti in vari Paesi del mondo. Per ogni rapimento, il punto di partenza era sempre lo stesso: il divorzio di una coppia costituita da coniugi di differenti nazionalità e la conseguente decisione sull’affidamento dei figli. Dal momento in cui il giudice affidava la prole ad uno dei genitori (generalmente a quello avente la stessa nazionalità del giudice adito), la parte soccombente, per evitare il drammatico distacco, decideva di lasciare il Paese ospitante portando con sé il figlio, contravvenendo alla decisione delle autorità. Era a questo punto, quindi, che il genitore legittimato ad avere l’affidamento si rivolgeva all’“ABP World”, accettando di pagare decine e decine di migliaia di euro e di mettere in pericolo la vita del figlio stesso (date le modalità del “recupero”) pur di riavere con sè al più presto il bambino, senza ricorrere alle vie ufficiali evidentemente troppo lente, difficoltose o dall’esito incerto. Le indagini dei Carabinieri hanno in particolare riguardato un ramo dell’associazione per delinquere dedito all’esecuzioni delle operazioni nel bacino del Mediterraneo. Il modus operandi era pressoché sempre lo stesso e consisteva nel sequestro del minore dall’abitazione dove si trovava e nel successivo trasporto – mediante imbarcazioni ad elevatissime prestazioni (da cui la denominazione dell’odierna operazione “Caronte”) – nell’ Europa continentale, facendo scalo in Sicilia. È stato possibile ricostruire che all’inizio di ottobre 2012 ebbe luogo la prima operazione su cui si è basata l’indagine: gli indagati, servendosi di un’imbarcazione condotta da uno skipper di Mazara del Vallo (lo stesso in quell’occasione si dimostrò pronto a corrompere le autorità di frontiera tunisine, pur di evitare controlli indesiderati), si recarono a Port el Kantaoui, località turistica della Tunisia, dove rapirono un bambino che poi ricondussero a Palermo, e, quindi, in Norvegia (gli inquirenti stanno cercando la collaborazione delle Autorità norvegesi per ricostruire la vicenda nella sua interezza). Poche settimane dopo ebbe inizio la seconda, avente teatro sempre la Tunisia, ma in un località (Chebba Mahdia) dell’entroterra. Anche in questa occasione l’organizzazione logistica dell’operazione fu curata a Palermo, dove gli indagati – sempre monitorati dai Carabinieri – alloggiarono per circa due settimane, spostandosi frequentemente da un albergo di lusso all’altro: proprio a Palermo gli indagati si sono messi alla ricerca delle armi con cui eseguire il blitz utilizzando le conoscenze dei contatti locali (addirittura si è cercato di far entrare nel territorio italiano delle armi provenienti dalla Russia, rivolgendosi ad un russo in contatto con un generale della ex Armata Rossa), si dotarono di fascette immobilizzanti, spray urticanti, sostanze narcotizzanti e di un taser. L’intento dichiarato era quello di fare irruzione nella villa tunisina all’interno del quale si riteneva vivesse il bambino, mettere fuori combattimento il personale di sorveglianza con ogni mezzo ritenuto necessario (dalle arti marziali alle armi da fuoco), narcotizzare il bambino e la madre, per poi fuggire il più velocemente possibile. Ancora una volta per il trasporto si scelse un gommone ad alte prestazioni, individuato a Marsala, dopo che in un primo momento si era cercato di reperire addirittura un elicottero. Quest’opzione fu scartata perché l’associazione non riuscì a trovare un pilota abbastanza folle (gli indagati parlavano di “pilota cowboy”) da gettarsi in un’impresa talmente pericolosa. Per non attirare troppo l’attenzione, l’organizzazione si mise alla ricerca di donne disposte ad accompagnare il commando in Tunisia, simulando un viaggio di piacere; fu fatta una attenta selezione nelle hall dei più esclusivi alberghi di Palermo, un vero e proprio casting, finché la scelta cadde su una donna olandese, la quale però non fu messa immediatamente al corrente delle reali finalità del viaggio. A inizio novembre gli indagati partirono alla volta di Tunisi per portare a termine l’operazione: nel frangente, in pieno accordo con la Procura di Palermo, i Carabinieri, tramite l’Interpol, riuscirono a coordinarsi con i colleghi della Polizia Tunisina, che intervennero tempestivamente ed arrestarono i sequestratori (due svedesi) prima dell’inizio dell’operazione e prima che potessero rimanere uccise persone o il bambino stesso. A seguito dell’arresto, i restanti membri dell’associazione iniziarono a farsi più guardinghi e, sentendosi nel mirino delle Forze di polizia, cessarono improvvisamente le comunicazioni tra loro scomparendo nel nulla per un periodo. Le indagini continuarono comunque, consentendo di ricostruire le fasi preparatorie di altre quattro operazioni in fase di organizzazione, da effettuarsi a Cipro, in Libano, in Egitto e in Ucraina. Per le prime tre fu sempre la referente palermitana a trovare un interlocutore a Cipro in grado di mettere a disposizione una barca ad alte prestazioni per raggiungere le coste del Libano e dell’ Egitto. Per l’operazione in Ucraina addirittura fu coinvolto un funzionario di un tribunale ucraino, che, dietro lauto compenso, diede la propria disponibilità a redigere una sentenza falsa riguardante, ancora una volta, l’affidamento di un minore. L’obiettivo era portare una bambina oltreconfine utilizzando un’automobile di copertura, dopo aver comprato il silenzio della polizia di frontiera. In particolare sono stati arrestati, tre cittadini italiani e una cittadina ucraina residente a Palermo da parecchi anni: Larysa Moskalenko, nata a Dniepropetrovsk (Ucraina) il 3/1/1963, residente a Palermo, titolare della società di noleggio imbarcazioni di lusso “Sicily rent boat”; Luigi Cannistraro, nato a Palermo il 21.03.1983; Antonino Barazza, nato a Mazara del Vallo il 10/05/1967; Sebastiano Calabrese, nato a Reggio Calabria il 23/01/1975; Destinatari delle ordinanze da eseguire all’estero con apposita rogatoria sono: Per Ake Helgesson, nato a Tysslinge (Svezia) il 28/09/1959 (in atto detenuto in Tunisia a seguito dell’arresto del novembre scorso); Wenche Elisabeth Andresen, nata a Oslo (Norvegia) il 25/03/1966; Martin Vage nato a Orkdal (Norvegia) il 27/12/1973. Alle operazioni di cattura hanno fornito supporto anche militari della Compagnia Carabinieri di Mazzara del Vallo (TP) e di quella di Gardone Val Trompia (BS).