Palermo

Mafia, blitz contro clan di Tommaso Natale: 11 arresti tra boss ed estorsori

Vecchi boss e nuovi affari, con il monopolio del pesce imposto ai ristoratori di Palermo. Blitz antimafia dei carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando provinciale di Palermo. Undici gli arresti nell’ambito dell’operazione “Metus” – 8 in carcere e 3 ai domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico – disposti dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, per associazione di tipo mafioso, estorsione, consumata e tentata, con l’aggravante del metodo e delle modalità mafiose, nonchè per tentato omicidio aggravato. Colpiti il mandamento mafioso di Tommaso Natale e affiliati alle famiglie mafiose di Partanna Mondello, Tommaso Natale e Zen-Pallavicino, alcuni dei quali, in posizione di vertice, già condannati in passato in via definitiva. Il blitz alle prime luci dell’alba a Palermo e nella provincia di Belluno.

L’operazione costituisce l’esito di un’articolata indagine, focalizzata sul mandamento mafioso palermitano di Tommaso Natale, che ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario in ordine all’appartenenza degli indagati alle famiglie mafiose di Partanna Mondello, Tommaso Natale e Zen-Pallavicino, alcuni dei quali, posti in posizione di vertice, già condannati in passato in via definitiva per il reato associativo mentre altri, a disposizione dei primi, si sono adoperati per favorire, partecipandovi, le dinamiche interne al sodalizio.

“Grazie all’importante dispositivo di contrasto a cosa nostra di cui si è dotato il Comando provinciale dei carabinieri di Palermo – spiegano gli investigatori – nonché al ricorso sistematico alle più sofisticate tecnologie di intercettazione, è stato possibile superare le continue accortezze poste in essere dagli indagati al fine di sottrarsi alle investigazioni, arrivando ad ottenere acquisizioni di elevatissimo pregio e assoluta genuinità che hanno confermato, ancora una volta, la piena operatività dell’associazione nel suo complesso”.

L’indagine, condotta sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario nei confronti dei destinatari del provvedimento. Il tutto dovrà trovare in seguito conferma nel corso dell’iter processuale, in ordine ai gravi reati ipotizzati in capo agli indagati.

LE INDAGNI

Le indagini hanno permesso di: ricostruire la struttura del mandamento mafioso di Tommaso Natale-San Lorenzo, nonché delineare l’organigramma delle collegate famiglie di Pallavicino-Zen, Partanna Mondello e Tommaso Natale, al vertice di quest’ultima, secondo gli investigatori, si troverebbe il genero di uno storico uomo d’onore, assassinato dai “corleonesi” durante la seconda guerra di mafia individuandone vertici e sodali; individuare i canali di interlocuzione del sodalizio con le altre articolazioni territoriali di cosa nostra palermitana operanti nei territori confinanti; accertare la commissione di diverse estorsioni per alimentare le casse dell’associazione, mediante l’imposizione di servizi di vigilanza e delle forniture di pesce e frutti di mare a molti ristoratori di Mondello e della borgata di Sferracavallo;

E ancora, grazie alle indagini è stato possibile delineare la pregnanza dell’associazione mafiosa nella vita di tutti i giorni, evidenziando una serie di interventi dei vertici dell’organizzazione mafiosa chiamati in causa per dirimere dissidi tra comuni cittadini o per tutelare gli interessi degli esercenti commerciali che sottostavano al pagamento del pizzo in cambio di protezione; far luce sul movente di un tentato omicidio commesso da uno degli affiliati nei confronti del proprio fratello, con il successivo intervento delle più carismatiche figure del mandamento mafioso per il ricomponimento dei dissidi familiari che avevano portato al tentativo di omicidio.

“QUI COMANDIAMO NOI”: COSA NOSTRA CONTINUA A RICORRERE AL RACKET DEL PIZZO

Sono decine le estorsioni accertate dall’ultimo blitz dei carabinieri di Palermo che ha disarticolato il mandamento mafioso di Tommaso Natale. Cosa nostra, dunque, continua a ricorrere al racket del pizzo per alimentare le sue casse. Le intercettazioni hanno fatto luce su diversi episodi, molti dei quali a carico di ristoratori delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello, costretti a pagare qualche centinaia di euro o a subire l’imposizione di servizi di vigilanza e delle forniture di pesce e frutti di mare. “Io ci faccio la sicurezza nei chioschetti. Qui comandiamo noi”, diceva un mafioso indagato non sapendo di essere intercettato. La pressione del racket sulle attività economiche, dunque,non accenna ad allentarsi e la mafia continua ad applicare la regola del “pagare tutti per pagare meno” imponendo una tassa inferiore rispetto al passato, ma non risparmiando nessuno.

A CAPO DEL CLAN UN VECCHIO BOSS NEMICO DI RIINA

Si è fatto 20 anni di galera e scarcerato, dopo una breve parentesi a Firenze, è tornato a Palermo al vertice della famiglia mafiosa di Partanna Mondello Michele Micalizzi, coinvolto nell’inchiesta dei carabinieri insieme ad altre 10 persone. Micalizzi, 73 anni, nemico giurato del boss Totò Riina, è il genero dello storico capomafia Rosario Riccobono, assassinato dai corelonesi durante la seconda guerra di mafia. Anni di esperienza nel narcotraffico, rapporti strettissimi con i trafficanti thailandesi, il padrino alla guida del clan si serviva di fedelissimi come Gianluca Spanu e Francesco Adelfio. Micalizzi si muoveva con cautela per sfuggire alle indagini, certo che i carabinieri lo stessero tenendo d’occhio. In una intercettazione con il boss Tommaso Inzerillo chiedeva:”ci ascoltano? Sicuro sei?”. E l’interlocutore gli rispondeva: “al 99 per cento”. Allora Micalizzi ricordava come i “cugini” mafiosi americani erano riusciti a eludere le “cimici”. “Gli americani erano sofisticati – spiegava – entravano nei negozi si spogliavano, compravano vestiti nuovi, scarpe nuove perché glieli infilavano pure nei tacchi delle scarpe (le microspie ndr) e i vestiti li buttavano e li arrotolavano dentro i sacchi e se ne andavano in campagna a parlare”.

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