“Ho conosciuto don Pino Puglisi quando ero Rettore del seminario vescovile di Caltagirone e Direttore dell’ufficio diocesano vocazioni, mentre don Pino era Direttore dell’ufficio regionale vocazioni. Egli mi invitò una volta a tenere una conferenza per tutti i responsabili su questo tema: la cresima sacramento delle vocazioni cristiane”. Così Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, racconta il suo inconto con il prete di Brancaccio, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993, proprio nel giorno del suo compleanno. “Ho avuto modo di approfondire questa amicizia nel 1984, perché quasi per un anno, ogni sabato, ho cenato con lui, mi recavo a Palermo per coordinare l’area culturale del Convegno delle Chiese di Sicilia e ho avuto modo di approfondire con lui l’amicizia”.
“Quando è stato ucciso, io sono rimasto sconvolto, non credevo ai miei occhi perché lo conoscevo come un sacerdote coraggioso ma anche molto mite, con il sorriso sulle labbra – prosegue Pennisi – Ho ritrovato adesso il telegramma che io mandai, proprio il 16 settembre, al Cardinale Pappalardo, che delinea l’immagine che avevo di lui già all’indomani della morte. Scrivevo: “Unito in preghiera partecipo al dolore della Chiesa di Palermo per il vile assassinio di padre Giuseppe Puglisi, amico carissimo, annunciatore mite e coraggioso del Vangelo, perla del clero Palermitano, sperando che il suo sacrificio contribuisca all’incremento delle vocazioni ecclesiali, alla diffusione della civiltà dell’amore e alla sconfitta della barbarie mafiosa”. Quel giorno stesso il telegiornale diceva che c’erano varie piste che venivano seguite, una era quella che era stato ucciso da un balordo, da un tossicodipendente per una rapina, perché come risulta dagli atti del processo giudiziario, la mafia aveva paura di far capire che era stata la mafia ad ucciderlo, allora aveva simulato questa falsa rapina per ucciderlo”.
Nel 1992, vi sono state le varie stragi che hanno portato le morti di Falcone e Borsellino, ma vi erano state altre stragi di poliziotti e di giudici precedentemente. Nel 1993, il 9 maggio c’è il discorso di Giovanni Paolo II ad Agrigento, in cui invita i mafiosi a convertirsi, perché un giorno arriverà il giudizio di Dio, quindi un discorso religioso, l’invito alla conversione con la categoria del giudizio di Dio. Alcuni mesi dopo, in estate, vi sono stati alcuni attentati ad alcune chiese, a San Giovanni in Laterano, che è sede della cattedrale del Papa, e a San Giorgio al Velabro e non stati a caso: la mafia in quel momento ha incominciato a capire come con la Chiesa non poteva più scendere a patti.
“La Chiesa era un nemico potente, per cui aveva paura di attaccarla frontalmente, però voleva darle dei segnali, e il terzo segnale è stato dato con l’uccisione, il giorno del suo compleanno, di don Pino Puglisi – dice Pennisi – E’ stata un’uccisione che la mafia ha cercato di mascherare, perché, è stata usata una pistola di basso calibro, che solitamente non si usa negli omicidi mafiosi, a don Puglisi è stato tolto il borsello, gli è stato detto che era una rapina, come risulta negli atti giudiziari. In realtà questo omicidio è scaturito in odio alla fede. Perché don Puglisi, con il suo ministero sacerdotale di catechesi, di educazione dei bambini, di aggregazione della famiglie, costituiva nel quartiere un “contraltare alla mafia”, che dominava qual quartiere. Allora i mafiosi del quartiere Brancaccio, i Graviano, hanno capito che bisognava eliminarlo”.
“Don Pino non partecipava a trasmissioni televisive, non aveva la scorta, non l’aveva neanche chiesta, era un prete che con l’educazione dei giovani toglieva alla mafia il terreno sotto i piedi, e quindi la mafia l’ha ucciso perché la logica mafiosa è incompatibile con quella del Vangelo – aggiunge ancora Pennisi – Don Pino Puglisi scrisse: “E’ importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denuncie, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti”. Il suo martirio è stato in quanto prete, questo è stato determinante per riprendere la causa di beatificazione che rischiava di arenarsi”.
La testimonianza di don Puglisi, il suo coraggio, sia una testimonianza profetica, perché indica alla Chiesa, e quando parlo di Chiesa non mi riferisco soltanto ai sacerdoti ma ad ogni cristiano, una via, la via evangelica di testimoniare Cristo, di seguire Cristo, che comporta anche il rifiuto del male e quindi il rifiuto della mafia,come una forma pratica di ateismo. Interessante come nel verbale degli interrogatori dei sui uccisori risulti come, colpendo don Pino, si volesse colpire la Chiesa. Si voleva colpire un prete scomodo, che invece di limitarsi soltanto a fare le processioni, magari facendole gestire al comitato di certi mafioso, invece educava alla fede, educava al Vangelo. Ad un certo punto un mafioso dice “questo prete predicava tutta ‘a iurnata”, cioè tutto il giorno. Questo dava fastidio. La sua beatificazione, ci indica veramente don Pino Puglisi come un profeta. Quindi noi lo possiamo annoverare tra i profeti. Questa sua morte così tragica, così dolorosa, è un seme insuperabile di vitalità. Possiamo dire che don Pino Puglisi con il suo esempio, con tutta la sua vita sacerdotale, è stato un maestro di umanità”.