Droga ed estorsioni per alimentare le casse della mafia. Cosa nostra fiaccata da blitz e arresti doveva fare i conti anche con i detenuti e le loro famiglie da sostenere. Un chiodo fisso per i mafiosi del mandamento di Ciaculli, azzerato all’alba dal blitz congiunto di polizia e carabinieri che ha portato a 16 fermi tra capi e gregari. Tutti rispondono a vario titolo di associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata del metodo mafioso. “Tu sei a Ciaculli e tu fai questo lavoro… devi garantire i nostri carcerati – dicevano i boss non sapendo di essere intercettati -! Ti offendi che ogni mese vieni da noi altri e ci dai… se dice, ma io non… non ti seccare fratello, prenditi la casa e venditela e vattene! Perché ti do fuoco, io ti do fuoco con te dentro… al mese devi mettere da parte una cifra per i carcerati”.
Nell’operazione congiunta tra polizia e carabinieri, a finire in manette sono: Giovanni Di Lisciandro Giovanni, 70 anni; Stefano Nolano, 42 anni; Angelo Vitrano, 63 anni; Maurizio Di Fede, 53 anni; Gaspare Sanseverino, 48 anni; Girolamo Celesia, 53 anni; Sebastiano Caccamo, 66 anni; Giuseppe Ciresi, 32 anni; Onofrio Claudio Palma, 43 anni; Rosario Montalbano, 34 anni; Rosario Montalbano, 35 anni; Filippo Marcello Tutino, 60 anni; Salvatore Gucciardi, 41 anni; Giuseppe Caserta, 46 anni. I carabinieri hanno fermato: Giuseppe Greco, 63 anni; Ignazio Ingrassia, 71 anni e Giuseppe Giuliano, 58 anni.
Si tratta di una vasta operazione che giunge al termine di due anni di indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, che hanno riguardato il mandamento mafioso di Brancaccio e Ciaculli sulla scia delle operazioni “Maredolce” 1 “Maredolce” 2 e “Sperone” concluse tra il 2017 e il 2019. Sono stati individuati capi e gregari delle famiglie mafiose della Roccella e di Brancaccio e ricostruite le loro responsabilità in ordine a più di 50 episodi estorsivi in danno di quasi altrettanti operatori economici. Le investigazioni della Polizia di Stato hanno restituito il quadro di una porzione di territorio fortemente condizionata dalla presenza di cosa nostra, dove gli stessi imprenditori o commercianti, prima di avviare le loro attività, avvertono la necessità di “essere autorizzati” dal referente mafioso della zona.
Le vicende di pizzo documentate, hanno riguardato supermercati, autodemolitori, macellerie, bar, discoteche, farmacie, panifici, imprese di costruzione, rivendite di auto ed altri ancora per un totale di quasi 50 episodi ricostruiti, e quasi altrettanti esercenti, a fronte di nessuna denuncia pervenuta alle forza dell’ordine. In alcuni casi, i commercianti si sono preoccupati di non figurare nel “libro mastro” delle estorsioni o di offrire all’estortore un escamotage per eludere eventuali controlli di polizia. Perfino durante l’emergenza epidemiologica, i pochi negozianti rimasti aperti, peraltro con volumi da affari assolutamente esigui, sono stati costretti a versare “l’obolo” mafioso. Secondo gli investigatori, al vertice della famiglia mafiosa della Roccella sarebbero Giovanni Di Lisciandro e Stefano Nolano. Questi avrebbero gestito la rete relazionale mafiosa fissando gli incontri con gli altri sodali con la massima riservatezza, avrebbero gestito i proventi delle estorsioni e del traffico di stupefacenti con particolare attenzione al mantenimento dei familiari dei detenuti.
A Vitrano, altro elemento di rilievo della compagine mafiosa, erano affidati compiti di raccordo con gli elementi di spicco della famiglia di Ciaculli e di coordinamento del “lavoro” di Maurizio Di Fede. Quest’ultimo è indiziato di essere la mente operativa della famiglia mafiosa, con compiti di promozione ed organizzazione delle attività estorsive e del traffico di stupefacenti. É a capo di una schiera di soldati molto attivi sul territorio, sempre pronti non solo a raccogliere il pizzo presso i commercianti ma anche ad effettuare sistematiche perlustrazioni della zona alla ricerca di nuove attività commerciali da includere nella lista degli estorti; tra questi, Montalbano, Gucciardi, Palma e Ciresi, anch’essi ritenuti organici alla compagine mafiosa della Roccella. A questi ultimi bastava loro avvicinarsi ai commercianti, senza necessità di minacce esplicite, per ottenere quanto preteso. É stata anche accertata dalla Polizia la disponibilità di armi in capo al gruppo; armi perfettamente funzionanti, a disposizione della famiglia mafiosa, pronte per essere utilizzate per i loro scopi criminali.
In diversi casi, inoltre, è stato necessario predisporre, da parte della Squadra Mobile, servizi specifici per prevenire rapine o spedizioni punitive ai danni di quanti fossero stati riconosciuti dalla famiglia come ostacoli per i loro affari illeciti. Per la famiglia di Brancaccio, spiccano i nomi di Girolamo Celesia e Filippo Marcello Tutino. Celesia, considerato personaggio di rilievo in seno alla famiglia mafiosa, partecipato a riunioni a massimi livelli del mandamento mafioso, anche con i Greco di Ciaculli, e coordinato le attività criminali, droga ed estorsioni, sul territorio. Avrebbe anche gestito personalmente alcune estorsioni in danno di esercizi commerciali della zona. Un ruolo di rilievo spetta anche a Filippo Marcello Tutino che avrebbe fatto valere la sua esperienza ed il suo blasone mafioso nella gestione dei rapporti tra i sodali dispensando consigli anche sulle modalità di approccio nei confronti delle vittime di estorsione.
Tra gli esattori della famiglia di Brancaccio, figura Gaspare Sanseverino, punto di riferimento di Celesia e della famiglia per le estorsioni e per una vera e propria mappatura delle attività commerciali sul territorio. Singolare è la posizione di Giuseppe Caserta, elemento di spicco della famiglia mafiosa di Brancaccio. Scarcerato poco meno di due mesi fa, Caserta si è subito proposto agli attuali vertici di Brancaccio mettendosi “a diposizione” e rivendicando un ruolo in seno alla compagine mafiosa. In particolare, l’indagine è scaturita dalle acquisizioni antecedenti al fermo (operazione Cupola 2.0) di Leandro Greco che avevano messo in luce il rapporto tra il giovanissimo referente della commissione provinciale di cosa nostra e capo mandamento di Ciaculli e il cugino Giuseppe Greco detto il senatore. É stato infatti possibile accertare che a seguito dell’arresto di Leandro il mandamento mafioso è stato retto da Giuseppe che si è occupato di relazionarsi con le dipendenti famiglie mafiose di Brancaccio, Roccella e Corso dei Mille.
Per assicurare nel tempo ai due l’egemonia sulle altre famiglie assorbite sotto l’influenza del mandamento mafioso di Ciaculli (già Brancaccio) è stato assicurato dal rapporto di parentela con il noto boss mafioso Michele Greco detto il papa. Leandro ne è infatti nipote in linea diretta mentre Giuseppe Grego è figlio di Salvatore Greco, detto Il senatore, fratello di Michele. Le indagini hanno inoltre consentito di individuare la figura del consigliere del boss Greco, impersonato da Ignazio Ingrassia detto il boiacane. L’anziano mafioso avrebbe fornito il suo apporto al vertice del mandamento nella gestione di delicate tematiche territoriali.
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