Cronaca

Il restauro dei mosaici del Duomo: si usano anche le ceneri vulcaniche

Continuano senza sosta gli interventi di restauro e manutenzione all’interno del Duomo di Monreale, nominato patrimonio Unesco. Il gruppo di lavoro del progetto “Agm for CuHe – Advanced Green Materials for Cultural Heritage” sta sperimentando l’utilizzo di materiali di nuova generazione all’interno del monumento della cittadina normanna conosciuto in tutto il mondo per la bellezza e l’importanza dei mosaici. L’intervento di restauro, grazie alla disponibilità di Don Nicola Gaglio, parroco della Cattedrale di Monreale, mira a ripristinare sia gli strati preparatori e la malta di allettamento, sia le tessere, mantenendo cromia e motivi geometrici con l’uso per la prima volta dei geopolimeri.

Il team del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania – coordinato dai docenti Germana Barone e Paolo Mazzoleni e composto da Maria Cristina Caggiani, Alessia Coccato, Claudio Finocchiaro, Maura Fugazzotto, Gabriele Lanzafame, Roberta Occhipinti e Antonio Stroscio – insieme con l’impresa Piacenti, hanno avuto l’occasione di integrare le conoscenze acquisite nelle attività di ricerca e sperimentazione in laboratorio con le fondamentali valutazioni dei tecnici e dei restauratori riguardo le potenzialità di questi prodotti grazie alle loro proprietà di lavorabilità e di applicazione direttamente in cantiere. Contestualmente una campagna di indagini diagnostiche non invasive nella stessa area ha permesso di acquisire dati sui materiali lapidei e vitrei presenti.

La parete interessata dai restauri è situata nella navatella meridionale, in particolare la scena “lavanda dei piedi“, e il fregio musivo a palmizio e lesene marmoree verticali. Infiltrazioni di acqua, ora risolte, hanno causato efflorescenze saline e il conseguente distacco di tessere. Il valore aggiunto di queste ricerche e delle loro applicazioni riguarda anche la possibilità di utilizzare come materie prime dei geopolimeri, le ceneri vulcaniche che, come visto recentemente, ricadono in abbondanza sul nostro territorio. Il progetto è finanziamento nell’ambito dei Progetti di Ricerca Industriale e Sviluppo Sperimentale nell’area di specializzazione Cultural Heritage del Programma Nazionale della Ricerca 2015-2020.

Coordinato da Germana Barone del Dipartimento di Scienze biologiche geologiche e ambientali dell’ateneo catanese, il progetto vede come capofila l’Università di Catania e il coinvolgimento anche dei dipartimenti di Ingegneria civile ed architettura, Scienze chimiche, Economia e Impresa, Fisica e Astronomia e Giurisprudenza insieme undici soggetti proponenti tra centri di ricerca (Università, Consorzio universitario, Distretto tecnologico) e imprese di cui sette in Sicilia e quattro nel Nord Italia. Per la ricerca, referente scientifico Paolo Mazzoleni dell’Università di Catania, sono coinvolti il Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e Tecnologia dei Materiali (Università di Palermo), il Distretto Tecnologico Sicilia Micro e Nano Sistemi (Università di Messina e CNR per lo studio dei materiali nanostrutturati), l’Università di Firenze, l’Università di Pisa e l’Università di Modena e Reggio Emilia.

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