I beni già dissequestrati due anni fa restano a Francesco Lena e ai suoi familiari. Lo ha deciso la Corte di appello che ha respinto il doppio ricorso della Procura e della Procura generale. I beni in questione sono la tenuta “Abbazia Sant’Anastasia”, comprensiva dell’azienda vinicola e del relais, e delle imprese “Lena Costruzioni”, “Co.Stra”, “Lena 2009”, “Led Italia”, “Saices, “Lena Edilizia 2000”, “Ata, “Feudo Zunica”, “Lena Distribuzioni”.
Secondo il collegio di appello per le Misure di prevenzione, come si legge nella sentenza depositata il 14 gennaio scorso, non ci sono prove “di una appartenenza mafiosa” di Lena e “di conseguenza della sua asserita pericolosità sociale qualificata”. Il collegio ha fatto propria la ricostruzione fatta dai giudici penali che hanno assolto l’imprenditore, perchè “all’ipotesi dell’imprenditore colluso con la mafia si affianca quella altrettanto possibile dell’imprenditore in perenne difficoltà con le banche e pronto ad alcuni compromessi pur di salvare le sue imprese e che, pertanto, non collabora stabilmente con Cosa Nostra traendone vantaggi anche per se”.
Il patron dell’azienda “Abbazia Santa Anastasia” di Castelbuono (uno dei beni finiti al centro dello scandalo misure di prevenzione che ha travolto l’ex giudice Silvana Saguto), era stato pure arrestato con l’accusa di essere un prestanome dei mafiosi, un riciclatore di soldi sporchi per conto dei clan. Il processo penale si è concluso con l’assoluzione definitiva di Francesco Lena.