Blitz contro la famiglia mafiosa di Palermo Borgo Vecchio. Venti i fermati dai carabinieri del comando provinciale. All’alba è scattata l’operazione “Resilienza” con l’esecuzione del fermo di indiziato di delitto, disposto dalla procura. Individuato il nuovo reggente, Angelo Monti, protagonista della riorganizzazione del clan colpito nel novembre 2017 e rimessosi in piedi. Contestati i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, associazione per delinquere finalizzata ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, danneggiamento seguito da incendio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento aggravato, furto aggravato e ricettazione.
L’indagine, coordinata da un gruppo di sostituti diretti dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, costituisce un’ulteriore fase di un’articolata indagine condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, che ha consentito di comprovare la perdurante operatività della famiglia mafiosa, dopo l’ultima operazione del novembre 2017.
Il nuovo reggente della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio in Angelo Monti, si è reso protagonista della riorganizzazione degli assetti della articolazione mafiosa, affidando posizioni direttive ai suoi uomini di fiducia, individuati in: Girolamo Monti, fratello del reggente e suo “alter-ego”, con cui Angelo Monti aveva già diretto, sino al loro arresto del 2007, la stessa famiglia; Giuseppe Gambino, il quale aveva il compito di tenuta e di gestione della cassa della famiglia, di controllo dell’andamento delle attività illecite e di filtro tra lo stesso Angelo Monti e il gruppo operativo che materialmente si occupava della commissione dei reati fine dell’associazione; Salvatore Guarino, già condannato – in via definitiva – per associazione di tipo mafioso, il quale si avvaleva di Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto per organizzare e commettere materialmente le attività estorsive, per conto della famiglia mafiosa, nei confronti dei commercianti e degli imprenditori operanti nella zona di riferimento; Jari Massimiliano Ingarao (nipote di Angelo Monti) che ricopriva il ruolo di referente, per conto della famiglia, nel settore del traffico di droga. Per tale scopo Jari Ingarao si avvaleva dell’ausilio materiale dei fratelli, Gabriele e Danilo.
Il connubio tra strumenti investigativi sempre più sofisticati e quelli tradizionali (quali pedinamenti e servizi di osservazione) ha consentito la disarticolazione dell’intero organigramma della famiglia mafiosa e l’individuazione delle attività di controllo del territorio e di ricerca del consenso sociale. C’era anche chi si occupata dell’assistenza economica verso le famiglie degli affiliati detenuti e dei diversi metodi illeciti di finanziamento del clan (estorsioni, traffico di droga e reati contro il patrimonio). Scoperte anche delle infiltrazioni nel tessuto economico del territorio e ingerenze nel mondo del tifo organizzato del calcio palermitano, esercitate attraverso il controllo di cosa nostra dei gruppi ultras locali. L’ARTICOLO CONTINUA DOPO IL VIDEO
Le indagini restituiscono, in sintesi, uno spaccato caratterizzato dal capillare controllo del territorio da parte della famiglia mafiosa, estrinsecatosi anche attraverso la continua ricerca del consenso verso un’ampia fascia della popolazione. I mafiosi, infatti, continuano a rivendicare, con resilienza, una specifica “funzione sociale”, attraverso l’imposizione delle proprie decisioni per la risoluzione delle più diverse problematiche: dai litigi familiari per motivi sentimentali alle occupazioni abusive di case popolari o agli sfratti per mancati pagamenti di affitti al proprietario di casa.
LE MANI SULLA FESTA DEL RIONE
In tale contesto, veniva cristallizzata, altresì, la pesante ingerenza nell’organizzazione delle celebrazioni in onore della patrona del quartiere, Madre Sant’Anna, previste dal 21 al 28 luglio del 2019. Nello specifico, le serate canore, animate da alcuni cantanti neomelodici, venivano organizzate da un comitato che, di fatto, era controllato da cosa nostra. I mafiosi, infatti, sceglievano e ingaggiavano i cantanti e, attraverso le cosiddette “riffe” settimanali, raccoglievano le somme di denaro tra i commercianti del quartiere. Tali somme venivano impiegate, oltre che per l’organizzazione della festa e l’ingaggio dei cantanti, anche per rimpinguare la cassa della famiglia mafiosa ed essere, in tal modo, utilizzate per il sostentamento dei carcerati e per la gestione di ulteriori traffici illeciti.
I militari hanno documentato l’attivismo degli attuali esponenti apicali della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, i quali, avendo il pieno controllo del comitato organizzatore della festa patronale: decidevano quali cantanti neomelodici dovessero partecipare alla manifestazione; provvedevano al loro ingaggio mediante il denaro ricavato dalle estorsioni, dalle “riffe” e dalle sponsorizzazioni dei gestori/titolari delle attività commerciali ubicate sul territorio; autorizzavano i commercianti ambulanti a vendere i loro prodotti durante la festa, disciplinando anche la loro collocazione lungo le strade del rione.
Jari Massimiliano Ingarao, inoltre, aveva incaricato alcuni complici di “invitare” i commercianti del quartiere a sponsorizzare un’esibizione canora di una cantante neomelodica, poi effettivamente avvenuta il 6 dicembre 2019, presso il teatro Don Orione di Palermo. Il provento di tali dazioni di danaro, ottenute grazie alle pressioni mafiose esercitate in danno dei pubblici esercenti, ha contribuito al sostentamento economico di Ingarao e, in parte, all’alimentazione della cassa della famiglia mafiosa.
“In tale contesto – spiegano gli investigatori – risulta particolarmente significativa la vicenda inerente le relazioni dei mafiosi di Borgo Vecchio con un neomelodico catanese (legato da vincoli di parentela ad importanti esponenti apicali di quella criminalità organizzata), in solidi rapporti con Jari Ingarao tanto da fargli visita presso la sua abitazione mentre questi era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari. Il cantante avrebbe dovuto esibirsi nel corso di una delle serate, ma l’evento non si realizzava a causa di polemiche susseguenti alla messa in onda, il 5 giugno 2019, di un noto programma televisivo, nel corso del quale venivano espressi commenti “infelici” sul conto dei Giudici Falcone e Borsellino. L’intera vicenda e alcune successive esternazioni di vicinanza ad esponenti della criminalità organizzata, provocava una serie di divieti di esibizione nei confronti del cantante, emessi dalle Autorità.
IL CONTROLLO DEL CLAN SUGLI ULTRAS
Sempre in tema di ingerenze mafiose, le indagini hanno delineato un significativo quadro di rapporti fra le tifoserie calcistiche palermitane e cosa nostra. In merito non è emerso alcun coinvolgimento della società che gestisce la squadra di calcio del Palermo. Anche se dal punto di vista strettamente territoriale, lo Stadio Renzo Barbera ricade nel territorio di confine fra i mandamenti mafiosi cittadini di Resuttana e San Lorenzo-Tommaso Natale, i vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio hanno mostrato un pressante interesse affinché i contrasti fra gruppi ultras organizzati del Palermo fossero regolati secondo le loro direttive, evitando spiacevoli scontri fra ultras all’interno della struttura sportiva, ritenuti da un lato dannosi per lo svolgimento delle competizioni e dall’altro fonte di possibili difficoltà per uno storico capo ultrà rosanero, elemento di contatto fra cosa nostra e il variegato mondo del tifo organizzato cittadino.
LE ESTORSIONI E I COMMERCIANTI CHE DENUNCIANO
Le indagini hanno permesso di ricostruire, in maniera analitica, 22 attività estorsive aggravate dal metodo mafioso (6 consumate e 16 tentate), perpetrate ai danni di commercianti e imprenditori operanti nel territorio di competenza della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, nonché 2 attività estorsive, commesse attraverso il cosiddetto “cavallo di ritorno”. Il dato che maggiormente – dal punto di vista sociale conforta – deriva dal numero delle denunce spontanee da parte di imprenditori e commercianti: infatti, su un totale di 22 episodi specifici, ben 13 casi sono stati scoperti grazie alle denunce autonome degli operatori economici, mentre ulteriori 5 episodi sono stati ricostruiti autonomamente grazie alle indagini, ma poi confermati pienamente dalle vittime. Lo specifico settore estorsivo era stato demandato dal reggente della famiglia mafiosa, Angelo Monti, e dal detentore della cassa mafiosa, Giuseppe Gambino, a Salvatore Guarino che, per avanzare le richieste estorsive e intimidire le relative vittime si avvaleva di Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto.
IL TRAFFICO DI DROGA
L’indagine ha cristallizzato anche le responsabilità degli esponenti mafiosi nel traffico di droga, nell’ambito del quale gli stessi mafiosi, oltre a definire le linee guida dello spaccio, controllavano direttamente i dettagli organizzativi, la contabilizzazione dei ricavi e la determinazione di ulteriori investimenti di settore, nonché la gestione del denaro confluito nella cassa della famiglia mafiosa. Angelo Monti aveva delegato l’intero settore criminale al nipote Jari Ingarao, il quale, sebbene fosse sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, riusciva a organizzare e coordinare tutte le attività funzionali al traffico, riuscendo a reperire la droga, principalmente dalla Campania, e a rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere delegando, a seconda dei ruoli, i fratelli Gabriele e Danilo Imgarao i quali si avvalevano di un gruppo di indagati a cui è stata contestata l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga.
I FURTI CON “CAVALLO DI RITORNO”
Gli esponenti della famiglia mafiosa intervenivano, in alcuni casi, anche nella gestione e nel controllo dei furti di motocicli e della loro successiva restituzione ai legittimi proprietari, attraverso il cosiddetto metodo del “cavallo di ritorno”. Tale segmento criminale era gestito da giovani pregiudicati del quartiere, contigui all’organizzazione criminale: le loro condotte illecite erano legittimate dai vertici della famiglia di Borgo Vecchio, in specie Giuseppe Gambino e Jari Ingarao, i quali realizzavano facili guadagni e rimpinguavano le casse dell’organizzazione, affermando ancor di più il controllo capillare del territorio di competenza.
IL TENTATO OMICIDIO PER LA CENA PAGATA CON SOLDI FALSI
“Nel medesimo contesto investigativo – aggiungono gli investigatori – veniva poi registrato anche il tentato omicidio, commesso con un’arma da taglio il 12 dicembre 2018, da Marcello D’India e da Giovanni Bronzino nei confronti di Giovanni Zimmardi (un appartenente alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, dedito per conto della stessa a riscuotere il pizzo), avvenuto all’interno dell’auto della vittima (poi incendiata). Le intercettazioni hanno permesso di ricostruire i fatti e gli autori del tentato omicidio. É stato ricostruito il movente (riconducibile alla contestazione di Zimmardi agli assalitori di aver effettuato il pagamento di una cena in una trattoria del quartiere con soldi falsi. Tali accuse avevano scatenato l’ira degli stessi). Sono emerse le successive dinamiche, che permettevano di ricostruire l’intervento degli esponenti apicali della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, finalizzato alla ricomposizione del dissidio.
A finire in manette sono: Angelo Monti, classe 1966; Jari Massimiliano Ingarao, classe 1994; Girolamo Monti, classe 1975; Giuseppe Gambino, classe 1964; Domenico Canfarotta, classe 1978; Pietro Cusimano, classe 1962; Danilo Ingarao, classe 1995; Gabriele Ingarao, classe 1987; Marcello D’India, classe 1955; Giovanni Zimmardi, classe 1974; Vincenzo Vullo, classe 1974; Paolo Alongi, classe 2001; Giacomo Marco Bologna, classe 1991; Antonino Fortunato, classe 2000; Filippo Leto, classe 1972; Matteo Lo Monaco, classe 1990; Giuseppe Vetere, classe 1999; Ignazio Sirchia, classe 1971; Giovanni Bronzino, classe 1954; Salvatore Guarino, classe 949, nato a Forbach (Francia e residente a Palermo. GUARDA LE FOTO DEGLI ARRESTATI.