Sarà l’esame del Dna a stabilire se i resti di ossa trovati stamattina lungo un sentiero nelle campagne di Caronia sono compatibili e appartengono al piccolo Gioele, il bambino di quattro anni sparito il 3 agosto scorso con la madre Viviana Parisi, trovata poi senza vita.
I resti (un femore e il tronco) sono stati individuati in contrada Sorba a circa 200 metri dall’autostrada A20 Messina-Palermo, dove la dj torinese aveva abbandonato l’auto dopo un tamponamento. A trovarli, tra i cespugli, è stato Giuseppe Di Bello, ex carabiniere di Capo D’Orlando, ormai in pensione, che da oggi si è unito alle ricerche dei volontari, dopo l’appello lanciato dal padre di Gioele e marito di Viviana, Daniele Mondello. Lui ha cercato dove gli altri non cercavano. “Infilandomi dove gli altri non passano”, ha risposto a chi gli chiedeva come avesse fatto a trovare qualcosa e che “sì”, c’erano tracce di animali. Il ritrovamento è stato fatto a poco meno di un chilometro dal luogo in cui lo scorso 9 agosto è stato recuperato il cadavere della madre, ai piedi di un traliccio.
Per gli investigatori, che in attesa di conferme procedono con cautela, il corpo è stato trascinato lì dagli animali. Subito dopo la segnalazione, sul posto è arrivato il procuratore di Patti Angelo Vittorio Cavallo che coordina l’inchiesta per omicidio e sequestro di persona. Il magistrato, accompagnato da vigili del fuoco, agenti della Scientifica e volontari di Protezione Civile, ha fatto un primo sopralluogo dall’alto. Sul luogo del ritrovamento anche il medico legale. A ricostruire quegli attimi concitati è un amico dell’ex carabiniere, che con lui oggi aveva deciso di partecipare alle ricerche. “Ha trovato dei resti – ha detto Francesco Radici, originario di Sinagra – che sembravano umani e mi ha chiamato…”. “Ci sono livelli – ha detto Ambrogio Ponterio, vicecomandante dei vigili del fuoco di Messina – in cui si cerca una persona viva, ci sono livelli in cui si cerca qualcosa di più con un’altra intensità. Poi ci sono livelli in cui si cercano parti introvabili e si va con un’altra intensità di ricerca che comunque è stata fatta”. Ai cronisti che lo incalzavano sulle ricerche, il funzionario dei pompieri ha risposto: “É arrivata questa persona – ha aggiunto -, che è un conoscitore dei luoghi, con strumenti atti a farsi spazio tra la vegetazione, aveva un falcetto che gli consentiva di passare dove passano gli animali”.
L’ANALISI DELLA CRIMINOLOGA
É morto “per strangolamento oppure dopo essere precipitato insieme alla madre” il piccolo Gioele, i cui resti – quasi certamente suoi, anche se manca il riconoscimento del padre. L’analisi è della criminologa, Roberta Bruzzone, che ne ha parlato con l’Agi. Le ipotesi discendono dagli altri casi presenti in letteratura e simili alla vicenda di Viviana Parisi, la 43enne trovata morta l’8 agosto dopo 5 giorni dalla sua scomparsa. E il contesto più “probabile è quello di un omicidio-suicidio o di un suicidio allargato”, come si usa dire con un termine tecnico in questi casi.
Secondo Bruzzone, la donna era in preda ad una crisi mistica che l’ha portata ad allontanarsi da casa e a portare il piccolo con sè: “Paradossalmente il fatto che lei fosse morto attaccata al figlio e premurosa nei suoi confronti è proprio l’elemento che, nell’ambito del suo grave disturbo psichiatrico, l’ha resa più pericolosa. Ha quindi deciso di coinvolgere il figlio nel suo piano suicidario per privarlo di una vita fatta solo di sofferenza e malattia e in cui la morte era l’unica salvezza”. Una forma di liberazione di cui Viviana aveva parlato “d’altra parte anche nell’ultimo video pubblicato sui social, con riferimento alla morte di Gesù per la salvezza degli uomini”. In questo quadro gli scenari sono due: “Che abbia soffocato o strangolato il figlio prima di salire sul pilone e gettarsi, oppure non stupirebbe che lo abbia portato con sè nell’arrampicata per poi lasciarsi andare nel vuoto”.
Secondo l’esperta già da quando si era avviata da casa “dicendo al marito che sarebbe andata a comprare un paio di scarpe, mentre non l’ha mai fatto”, Viviana sapeva che ‘il suo viaggio sarebbe stato senza ritorno“. É probabile poi che “l’incidente con il furgoncino abbia accelerato la situazione”, ma quando la donna “ha incontrato un testimone che ha tentato di parlarle, lei non ha risposto: un segno evidente che si trovava già in piena crisi dissociativa e si stava dirigendo verso un altro luogo per attuare il suo intento suicidario”. In questo contesto, Bruzzone afferma che la donna “non si è mai separata dal suo bambino”. Del resto “la crisi mistica” diagnosticata anche in un certificato trovato nel cruscotto dell’auto “è in letteratura la causa più probabile negli scenari in cui a uccidere un figlio è un genitore. É la condizione più pericolosa che porta ai casi di omicidio-suicidio o di ‘suicidio-allargatò di cui si parla in queste occasioni”.
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