Ho preso molto sul serio le disposizioni di quarantena volute dal governo italiano per contrastare l’epidemia da coronavirus. Chi mi conosce sa della mia leggera ipocondria. Immaginatevi avere a che fare con una pandemia. E quindi stop alle “discese” da Monreale a Palermo per andare in ufficio e smart working da casa. Per fortuna posso contare su tre colleghi eccezionali che hanno fatto il lavoro “all’aria aperta” al posto mio.
Ma ad un certo punto, e anche e soprattutto per evitare di far andare mio padre che ha una certa età, mi sono dovuto rassegnare e sono dovuto andare anche io al supermercato. Ho fatto una lista ben precisa. Conosco il supermercato e ho scritto i prodotti da comprare in base all’ordine dei corridoi per non perdere tempo. Mi sono vestito, ho preso l’auto e ho guidato fino al supermercato. Indosso la mascherina e i guanti. Mi avvio verso il supermercato. E’ l’ora di pranzo, ma la coda è già lunghissima. Una trentina di carrelli in fila. Mi metto in fila anche io. La cosa che mi colpisce è il silenzio. Nessuno parla. Nessuno ti rivolge parola. Tutti giocherellano con gli smartphone in attesa che la guardia che si trova all’ingresso ti dia il segnale per potere entrare.
C’è di più, però. Ho la sensazione, e un po’ di paura a dire il vero, che stiamo perdendo, in questi giorni di quarantena forzata, il nostro modo di viverci i rapporti sociali. Per un siciliano non è roba da poco. Niente più strette di mano vigorose, abbracci, spinte giocose. Il tempo intanto passa. Tocca a me. Entro. Anche qui mi sorprende il silenzio. Una voce al microfono ricorda di mantenere la distanza di un metro dalle altre persone. Mi colpisce vedere tutta quella gente con le mascherine. Per noi erano immagini lontane, provenienti dalla Cina e dal Giappone. Prima vedere una persona in giro con la mascherina era, magari motivo di scherno. Comincio il mio tour fra gli scaffali e dopo la frutta, tocca alla salumeria. Un impiegato rimprovera una donna: “Signora si deve allontanare, o me ne vado”.
Ecco cosa cercavo di spiegare prima. La paura del contatto con l’altro che ci sta sopraffacendo. Tanto quell’impiegato aveva paura di stare vicino ad una persona che ha minacciato di lasciare il suo posto di lavoro. Proseguo la mia spesa. Arraffo i prodotti senza badare a nulla. Non leggo scadenze, non guardo i prezzi. Come un automa. Leggo il prodotto nella lista e lo metto nel carrello. Ho solo voglia di uscire da quel posto. Respirare all’aria aperta. La mascherina mi opprime. Pago e volo via. Fuori la fila è ancora più lunga. Ad un signore anziano cade un sacchetto con la spesa. L’istinto è quello di correre in suo aiuto. Mi blocco. E nessuno in fila si muove. Tutti fanno finta di nulla. L’anziano con difficoltà raccoglie scatole e lattine. Io resto a guardarlo impietrito. E rifletto che questa pandemia, questa tragedia che ha colpito l’Italia, ci cambierà per sempre. Ci abitueremo a uscire con le mascherine, a lavorare da casa. Ci abitueremo a vivere i rapporti sociali in maniera diversa. A tenere tutti un po’ più a distanza. A diventare tutti più egoisti. Ed è la cosa che mi fa stare peggio…