E’ stato risolto l’omicidio di Francesco Paolo Lombardino, il carpentiere di 47 anni ucciso nella notte tra il 26 e il 27 dicembre nel quartiere Cep di Palermo: l’uomo è stato colpito a morte dallo zio per un errore di valutazione. È questa l’incredibile ricostruzione della Squadra mobile di Palermo. Un fuoco amico costato la vita al muratore incensurato. In manette è finito lo zio della vittima, Giuseppe Lombardino di 61 anni. Secondo gli investigatori l’omicida avrebbe voluto colpire un altro uomo, Carmelo Testagrossa, presente all’incontro, per un diverbio su una partita di droga. Ma per errore ha colpito il nipote, morto poi dissanguato.
A complicare la ricostruzione è stata anche la difficoltà di penetrare in un quartiere come il Cep, dove gli agenti hanno avuto a che fare anche con il muro di omertà che si era avvolto attorno all’uomo. Giuseppe Lombardino “quella notte, prima si è reso autore di un’aggressione di cui cadeva vittima Carmelo Testagrossa, ferendolo a coltellate poi, nella notte tra il 26 e il 27 dicembre, la violenza cresceva – spiegano gli investigatori – Stavolta la vittima designata, lo stesso Testagrossa ha subito un’aggressione che solo per puro caso non gli è costato la vita”. L’evento che ha portato alla morte di Francesco Paolo Lombardino, per come ricostruito dagli inquirenti, sarebbe nato da una contesa, insorta per questioni relative al consumo di droga. Una disputa che ha coinvolto Giuseppe Lombardino e suo nipote, Francesco Paolo. I due hanno iniziato a litigare con Testagrossa e la contesa presto è degenerata finché Giuseppe ha estratto un’arma da fuoco e ha sparato all’indirizzo di Testagrossa. Colpi sparati all’impazzata che non hanno preso il vero obiettivo ma il nipote.
Da quel momento – spiegano gli agenti – è iniziata una fase di depistaggio per non far scoprire la verità. A dirlo all’Adnkronos è Rodolfo Ruperti, il dirigente della Squadra mobile di Palermo, che ha condotto l’inchiesta coordinata dalla Procura di Palermo che all’alba di oggi ha portato al fermo di Giuseppe Lombardino. “I parenti interrogati non ci hanno voluto indicare neppure il luogo dell’agguato – spiega Ruperti – lo abbiamo dovuto scoprire noi da soli dopo più di sei ore”. Insomma, i parenti avrebbero messo su una sorta di cordone per cercare di salvaguardare il presunto responsabile. Alla fine, l’uomo è stato preso a casa di un amico, con precedenti penali. “Grande coordinamento da parte della Procura della Repubblica – dice ancora il dirigente della Mobile – perché ha saputo anche fare confluire tutti i dati che arrivavano da altre forze di Polizia”.
Il pm che ha coordinato l’indagine lampo è Amelia Luise. Ruperti ha poi ricordato il lavoro fatto dalla sezione Omicidi della Mobile. “Questo è stato un caso davvero difficile – dice – Non ci hanno dato alcuna indicazione. Abbiamo trovato il luogo del delitto solo grazie alle nostre attività. C’era in atto un depistaggio che ci ha insospettiti. Da lì abbiamo capito il triste epilogo della vicenda. Volevano ammazzare una persona e ne hanno uccisa un’altra, un parente”. Un altro parente, che ha portato la vittima in ospedale, avrebbe raccontato agli inquirenti di avere raccolto il nipote in un luogo in cui non c’era neppure una macchia di sangue, come dicono gli investigatori. “Ci hanno fatto perdere del tempo prezioso – dice ancora Ruperti – alla fine siamo arrivati alla soluzione grazie a un lavoro davvero certosino e grazie alle telecamere, incrociando le testimonianze e con attività tecniche”. Lombardo aveva già fatto perdere le sue tracce. “Si era nascosto a casa di un amico – dice Ruperti – aveva con se una borsa perché aveva pensato di darsi con ogni probabilità alla macchia”.
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