“Sperequazione fra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati” e “i suoi legami con numerosi personaggi di spicco di cosa nostra”. Per questi motivi la Dia di Palermo ha confiscato beni per oltre 200 milioni di euro agli eredi dell’imprenditore edile Vincenzo Rappa, morto nel 2009. Il decreto di confisca è stato emesso dal Tribunale di Palermo – I Sezione Penale e Misure di Prevenzione (presieduta da Raffaele Malizia e composta dai giudici Luigi Petrucci e Giovanni Francolini).
Il provvedimento scaturisce da una proposta del Direttore nazionale della Dia, che nel 2014 aveva portato al sequestro dei suoi beni. Le indagini (coordinate dal Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dal Procuratore Aggiunto Marzia Sabella e dal Sostituto Procuratore Claudia Ferrari) hanno consentito di ricostruire la biografia e la parabola economica dell’imprenditore edile Vincenzo Rappa, già condannato in via definitiva nel 2004 dalla Corte d’Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio aggravato.
Decisive anche le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia (tra questi Angelo Siino, Giovanni Brusca, Vito Galatolo, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Francesco Onorato, Salvatore Cucuzza, Antonino Avitabile, Calogero Ganci, Francesco Paolo Anzelmo, Tullio Cannella, Antonino Galliano e Salvatore Lanzalaco), che hanno intanto fatto emergere una netta differenza tra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati da Rappa. Oltre a permettere di “disegnare” i suoi legami con numerosi personaggi di spicco di cosa nostra, come con Raffaele Ganci della famiglia della Noce; i Madonia della famiglia di Resuttana; i Galatolo della famiglia dell’Acquasanta, la famiglia di Borgetto.
Al riguardo, il Tribunale afferma che “…le condotte poste in essere (da Vincenzo Rappa, classe 1922) di certo non si sono limitate alla mera contiguità o vicinanza a cosa nostra, ma si sono sostanziate in azioni senz’altro funzionali agli scopi associativi”.
E i rapporti con cosa nostra venivano dimostrati dal versamento consapevole ad esponenti di spicco della varie coche mafiose di ingenti somme di denaro, ottenendo, in cambio, la possibilità di realizzare importanti operazioni immobiliari, traendo indubbi vantaggi, sia nel settore dell’edilizia privata, che in quello dei pubblici appalti. Questa condotta, descritta nel processo penale che nel 2004 portò alla sua condanna, ha fatto emergere come Rappa, pur non essendo organico, avesse fornito a cosa nostra un contributo concreto, specifico e volontario, che permetteva di consolidare in maniera decisiva l’apparato strutturale dell’associazione criminale.
Sempre nel corso del processo, erano emersi nei suoi confronti anche elementi di reità per riciclaggio aggravato, in quanto alcuni collaboratori di giustizia avevano dichiarato di essersi avvalsi di lui, all’epoca insospettabile imprenditore, per sottrarre, dal rischio di eventuali iniziative giudiziarie, beni di loro proprietà, anche se formalmente intestati agli imprenditori Graziano. Da questo nasce il provvedimento di confisca che colpisce tutti i beni riconducibili all’imprenditore ormai in mano ai suoi eredi. Si tratta dell’intero capitale sociale e relativo compendio aziendale di 3 società di capitali (attive nel comparto delle costruzioni edilizie e nel campo finanziario), una società di persone, quote in partecipazioni societarie di una società di capitali, 183 immobili, un intero edificio di otto piani, rapporti bancari e disponibilità finanziarie.
In particolare, sono stati interessati immobili dall’indubbio valore storico-artistico, oltre che economico come il Settecentesco “Palazzo Benso”, oggi sede del Tar di Palermo, in via Butera. Oppure “Villa Tagliavia”, ubicata al civico 123 di via Libertà. Oppure l’intero edificio sempre a Palermo, in via Ugo La Malfa, 153, dove si trova la sede regionale del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il valore complessivo del patrimonio confiscato è stimato in oltre 200 milioni di euro. In concomitanza, il Tribunale di Palermo ha anche disposto il dissequestro di altri beni e società, intestati agli eredi del Rappa, che non erano ritenuti riferibili e/o collegabili all’attività imprenditoriale di Rappa.