Forse è uno dei provvedimenti più rilevanti della storia giudiziaria italiana per l’importo, ad oggi ancora solo stimato, di oltre 1,5 miliardi di euro. Una storia di un muratore indigente che è diventato “capitano” d’azienda miliardario.
La Dia di Palermo, stamattina, ha reso noti i provvedimenti di una lunghissima attività investigativa che ha coinvolto gli eredi di Carmelo Patti, originario di Castelvetrano in provincia di Trapani e morto nel gennaio del 2016. Un muratore di 26 anni, negli anni ’60, che diventa, improvvisamente, una delle personalità più in vista del panorama economico mondiale. Che la sua situazione economico-finanziaria fosse davvero precaria, “lo rivela egli stesso – dice il direttore della Dia generale Giuseppe Governale – perché alla Cancelleria della Corte di Palermo che lo aveva convocato, aveva detto di non poter affrontare il viaggio visto che né lui né il padre avevano i soldi necessari anche solo per acquistare del cibo”. Invece, prosegue il direttore, “dopo 40, 45 anni, questo muratore diventa il padrone di un patrimonio che supera 5 miliardi di euro”.
La Dia dunque, con provvedimento definitivo, procede ad una confisca che sarà ricordata. Le indagini, coordinate dal Sostituto Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dal sostituto procuratore Andrea Tarondo, con le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Angelo Siino, Giovanni Ingrasciotta e Antonino Giuffrè e dagli accertamenti bancari, hanno dimostrato una sperequazione fra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati da Carmelo Patti, permettendo anche di dimostrare rapporti con numerosi personaggi della famiglia mafiosa di Castelvetrano capeggiata da Matteo Messina Denaro.
Bisogna fare un passo indietro fino al 1962 quando Carmelo Patti viene dichiarato “fallito” dal tribunale di Trapani, ma riabilitato nel 1963 dal tribunale civile di Marsala in provincia di Trapani. Proprio l’anno in cui costituì insieme ai familiari la Cablelettra, azienda che produceva componenti per l’industria degli elettrodomestici. La neo-azienda venne aiutata economicamente per affermarsi dalla Philco e dalla Patelec, passando in un secondo momento a produrre impiantistica per il settore automobilistico. Dopo l’acquisto di un immobile da destinare alla Cablelettra che venne trasformata in società di capitali e l’accesso alla produzione per lo stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese, nel milanese, la Fiat, negli anni ’80 gli affida una commessa molto remunerativa. Nasce così la Cablelettra Sud in Campania che produce componentistica anche per l’Alfa Romeo. Nei primi anni ’90 le aziende di Patti ebbero un ruolo fondamentale anche per l’assorbimento del personale della Fiat del settore cablaggio. Ma le difficoltà arrivarono quando Fiat chiese a Cablelettra di rilevare la Upa, unità produttive ausiliare di Pomigliano d’Arco.
Patti aderì rilevando il 50 per cento costituito da circa 400 operai che vennero impiegati in una nuova società appena costituita, la Selca, che rilevò il ramo di azienda. Ma Fiat, però, non mantenne la promessa di commesse per 125 milioni di euro, attestandosi sui 100 milioni di euro di lavori affidati. Venne solo aggiunta la commessa del cablaggio della vettura Marea che sarebbe stata prodotta sia in Italia che in Brasile. Patti per questo lavoro decise di affidarsi alla Cable Sud a Castelvetrano. Ma lo scompenso tra le entrate previste e quelle effettivamente realizzate, costrinsero Patti a diversificare i suoi settori di investimento. Rileva così la Sotim, che controllava il 70 per cento della ex Valtur, ora in amministrazione straordinaria.
“Abbiamo evidenziato – sottolinea il direttore della Dia Governale – anche un complesso e ben strutturato sistema di evasione fiscale, con aziende madri e aziende polverizzate su tutto il territorio di Castelvetrano. Un’evasione da decine e decine di milioni di euro che evidentemente consentiva e ha consentito alla ciriminalità mafiosa di quell’area, di nutrire e farsi nutrire”. Un colpo durissimo visto l’importo sequestrato, “e adesso la sfida – continua il direttore – è che lo Stato, che è diventato poprietario di queste imprese, dia, ma sono sicuro, quindi dico darà, un segnale, perché si tratta di aziende che sono fiorenti in questo settore. Ma soprattutto che si preservi il lavoro di migliaia di persone”.
L’attenzione della Dia si è focalizzata inizialmente sul coinvolgimento negli anni ’90 di Patti in un’indagine per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e all’evasione dell’Iva, in cui rimasero coinvolti numerosi personaggi poi risultati vicini agli ambienti mafiosi. Fra coloro che godevano della piena fiducia dell’imprenditore vi era Michele Alagna, fratello di Franca Anna Maria, madre di una ragazza di nome Lorenza, figlia, seppur non riconosciuta di Matteo Messina Denaro. Alagna ha ricoperto ruoli di vertice nelle imprese del gruppo di Patti e movimentava, avendo accesso ai numerosi conti correnti, una quantità incredibile di soldi. Le indagini hanno anche dimostrato collegamenti di Patti con Paolo Forte, organico della famiglia mafiosa di Castelvetrano e con Rosario Cascio, indiziato mafioso, il cui patrimonio veniva sequestrato e confiscato dalla Dia. Sotto la lente di ingrandimento, l’acquisizione del resort di Favignana in provincia di Trapani “Punta Fanfalo”, effettuata da Patti e da Alagna attraverso l’intermediazione di alcuni personaggi ritenuti vicini al super-boss Matteo Messina Denaro. Il provvedimento ha portato alla confisca di 25 società di capitali, quote di partecipazione societarie, 3 resort, un golf club, 400 ettari di terreno, 232 immobili, un’imbarcazione, rapporti bancari e disponibilità finanziarie di circa 50 milioni di euro.