“Sono stati anni duri, terribili, avvolti da un dolore immenso e costretti ad affrontare la vita nelle sue difficoltà, ma lo abbiamo fatto con la schiena dritta, con dignità, sobrietà, con orgoglio, senza mostrare mai un attimo di cedimento, soffocando pubblicamente il dolore e imparando a convivere con esso”. Così Marco Intravaia nel giorno del quindicesimo anniversario della strage di Nassiriya.
Sono passati, infatti, 15 anni, da quella maledetta mattina del 12 novembre 2003 in cui un camion cisterna carico di esplosivo fu scagliato da terroristi iracheni contro la base “Maestrale” del contingente italiano. Nell’eccidio morirono 19 italiani di cui 12 Carabinieri, 5 militari del nostro esercito e 2 civili. Fra questi c’era il padre di Marco, il vicebrigadiere dei carabinieri monrealese Domenico Intravaia. I nostri militari erano lì per difendere la Patria, erano lì per difendere la pace e la democrazia, per aiutare la popolazione civile ripristinando, fra l’altro, condotte idriche e salvando dallo sciacallaggio opere d’arte che ci raccontano gli albori dell’umanità.
“Mio padre ha servito umilmente il Paese – ha aggiunto il figlio Marco – fino all’ultimo giorno pur sapendo dei gravi rischi per la sua vita, consapevole che da un momento all’altro sarebbe potuto morire. Lo ha fatto senza nessuna esitazione, rimanendo fedele al giuramento prestato alla Repubblica; con orgoglio, quello stesso orgoglio con il quale aveva deciso di arruolarsi ed indossare una divisa, di difendere la nostra Nazione dalla piaga del terrorismo. Mi ha lasciato un’eredità morale pesante: Mi ha insegnato che se si vogliono cambiare le cose si deve avere il coraggio dell’impegno in prima persona. Io ho voluto seguire questo insegnamento e spero di fare la mia parte per contribuire al cambiamento. Nassiriyah ha segnato il destino non solo della mia famiglia ma anche quello del Paese. Ricordiamo infatti che quella strage costituisce la più grande perdita di vite umane che l’Italia ha subito dalla fine del secondo conflitto mondiale. Ha risvegliato in molti cittadini valori che sembravano ormai assopiti; l’Italia, dopo tanti anni, si è ritrovata nuovamente accomunata da un senso di unità nazionale e di orgoglio per tutti quegli uomini e quelle donne che indossando una divisa, ogni giorno, rischiano la vita in Patria e all’estero per servire lo Stato e garantire la pacifica convivenza. Quell’evento ci unì come Nazione che, nella tragedia, sentì rafforzato il vincolo di appartenenza alla Patria, riconoscendosi nei suoi valori fondanti”.
Intravaia ha anche voluto sottolineare l’importanza del ricordo e l’opportunità di continuare con le missioni italiane all’estero. “Il sacrificio di chi ha perso la vita – ha continuato – nell’impegno di migliorare il mondo deve rappresentare un richiamo per tutti ad una rinnovata e ferma necessità di contrapposizione a ogni forma di violenza. Deve essere un esempio soprattutto per le future generazioni. Le commemorazioni servono non soltanto per un elementare dovere di riconoscenza, ma per indicare a tutti, in particolare alle giovani generazioni, il valore del sacrificio che talvolta è necessario per la conquista della libertà e della democrazia. Nonostante le missioni all’estero comportino un coefficiente innegabile di rischio penso che il ritiro dei nostri contingenti sarebbe deleterio perché tutto il lavoro e i sacrifici, fatti e in corso, sarebbero vanificati. Mio padre – conclude Intravaia- ha pagato con la vita il suo amore per la Patria. Questo amore, che ha trasmesso anche a me, è il dono più prezioso che potesse lasciarmi”.
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