Appena ieri una sentenza depositata dai giudici amministrativi ha osservato che “la particolare oggettiva valenza del curriculum del ricorrente non è stata né ignorata né sottovalutata” dal Palazzo dei Marescialli “ma più semplicemente è risultata recessiva nel confronto con i designati, a favore dei quali ha militato, quanto all’attitudine specifica, oltre all’esperienza approfondita in materia di lotta alla criminalità organizzata da essi maturata, la spiccata attitudine al lavoro di gruppo e la pluralità di esperienze professionali svolte in funzioni e settori diversi di attività giudiziarie”.
Che tradotto significa che il procuratore Nino di Matteo deve rimanere nel suo ufficio del tribunale di Palermo e il suo contributo come “lavoratore” all’interno della Procura Nazionale Antimafia non è utile. Il Pm sentito dai giornalisti chiarisce che era una decisione attesa ed è rammaricato nel constatare che sempre più spesso nel sistema i rapporti di forza prevalgono sull’applicazione delle regole o del diritto.
In tutto ciò la stampa non si sta occupando di quel processo sulla Trattativa Stato-mafia, avviato dallo stesso Di Matteo e che gli è costata una sorta di condanna pronunciata dal pericoloso Totò Riina. I rimandi al caso della bocciatura clamorosa di Falcone sono dovuti e sembra che tanta storia non abbia davvero prodotto nulla.
Certamente a favore degli altri colleghi c’è il fatto che parlino l’inglese, che abbiano maggior spirito di gruppo (e che forse facciano le scampagnate con gli scout…) che sappiano intercettare le conversazioni skype. Ma il problema è che l’azione giudiziaria di Di Matteo, protagonista nel processo dei rapporti tra Stato e mafia, lo stia pian piano isolando e portando all’angolo proprio secondo un copione che non vorremmo più vivere.
E la sentenza del Tar getta una ombra inquieta sulla magistratura e sul ruolo dei suoi servitori. Sembra quasi un monito perché non si faccia illusioni nessuno: chi lavora con ostinazione e determinazione per fare chiarezza sulle trame torbide di stragismo mafioso e poteri occulti dello Stato deve arrendersi. Il rischio è quello di restare soli, isolati blindati e delegittimati.
“L’avevo previsto”, dice il pm della trattativa Stato-mafia al Fatto Quotidiano. “Il messaggio è chiaro, ostacolano chi cerca la verita su mandanti e moventi”.