Monreale, se la festa è uno stress (parte religiosa esclusa)

Raimondo Burgio

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Monreale, se la festa è uno stress (parte religiosa esclusa)
Tutti i punti "oscuri" della manifestazione: una città, la nostra, poco smart che mal si adatta a questi eventi

18 Gennaio 2016 - 00:00

Con rispetto alle tradizioni, al folklore e alla religiosità (che peraltro non entra minimamente nel merito delle nostre considerazioni), questa settimana di festeggiamenti può essere considerata uno “stress test” per la vita della comunità cittadina e dunque possiamo fare scaturire un insieme di valutazioni e ponderazioni alla luce delle quali dibattere sul livello della qualitàurbana proposta, attesa e poi effettivamente riscontrabile a Monreale. Se una rondine non fa primavera parimenti una festa non fa la forza del turismo e ciò per confermare quanto detto più volte da esperti del settore secondo cui la nostra offerta non costituisce una attrattiva tale da generare flussi turistici di notevole entità atteso che, è anche cambiata in genere la tipologia stessa di fruizione dei soggiorni. È a tutti noto il problema endemico della distribuzione dei parcheggi e della tribolata gestione di questi, della assoluta mancanza di spazi verdi urbani e delle percorribilità pedonali, per non parlare delle offerte culturali che stentano a trovare vita osteggiate da palese indifferenza e “anaffettività” al fare culturale. Una città avrebbe dovuto crescere in modo lungimirante, distendendosi sul territorio con un fare più compatibile al paesaggio e alla sua stessa antropizzazione. Con uffici attenti e vigili (vigili èin questo caso un aggettivo, ndr) attivamente operanti per il controllo dei fenomeni di imperante abusivismo, pianificando, analizzando e controllando la crescita. Oggi invece “sotto festa”e “sotto stress” i cittadini sono soggiogati da masse convulse che in modo entropico mettono sotto scacco l’urbana normalità. Se mi limito ad osservare cosa accade in questa città, messa sotto torchio, noto ad esempio la difficoltà di gestione del traffico lungo le principali arterie cittadine, ostruite, intasate e congestionate come le vene di un malato di arteriosclerosi. Il tessuto storico mal sopporta carichi dovuti ad eventi macroscopici e dal pesante impatto, pertanto sarebbe necessario stimolare ogni possibile processo vitale di adeguamento, nel preciso rispetto di pochi, ma ben evidenti valori morfologici e funzionali. Valori, analoghi a quelli da anni utilizzati altrove per la riqualificazione della Città Storica, non fanno riferimento alle singole “unità edilizie”, ma hanno come parametro sistemi edilizi e tessuti urbanistici. Questi rappresentano insieme una differenza di scala, ma al tempo una diversità di forme e di contenuti da tutelare: gli isolati a blocco, i fronti edificati su strada in linea o a edifici separati. La morfologia urbanistica di questi tessuti e ambiti storici dovrebbe essere oggetto di complessiva conservazione, ma anche di necessaria ri-qualificazione richiesta da nuovi contenuti: per esempio trasformando in viali alberati alcune dorsali stradali spoglie e anonime; o preservando ovunque sia possibile la presenza di negozi lungo le strade, magari attrezzando i marciapiedi alla sosta e al passeggio. Non parliamo della gestione del patrimonio storico lasciato pressoché abbandonato e/o incustodito, quando non del tutto snobbato poiché immateriale, sensitivo, fatto da sperimentazione di dinamiche esterocettive e introcettive. Per quale ragione allora fregiarsi di vivere in una città d’arte? Se tornassi indietro con la memoria, tale definizione ci dovrebbe appartenere solo perchéun mecenate volle donare uno “scrigno”a dei cinghiali e nonostante tutto il tempo trascorso tale è rimasta la popolazione del Reale Colle. L’offerta culturale spesso è poco significativa, provinciale e di media qualità perché forse non si riesce ad essere maggiormente appetibili rispetto al capoluogo. C’è da dire che difatti ci qualifichiamo molto male quando, nella promozione dell’evento dell’anno, si improvvisano con mezzi di fortuna estemporanee interviste ovvero nell’essere istituzionalmente rappresentati da blogger più o meno naif che postano commenti e contenuti arbitrari o di dubbia provenienza e attendibilità. Che stress questa festa laica, ne usciamo sconfitti, distrutti e barcollanti. Una città che sia nuova, confortevole e per definirla in termini attuali: “Smart” e creativa si dovrebbe configurare come una potente leva socio-urbanistica orientata ad un’azione di trasformazione intimamente alimentata dall’armatura culturale. Da una visione in cui le città più competitive sono quelle in grado di attrarre la classe creativa dobbiamo passare ad una visione progettuale in cui la città diventa generatrice di creatività, si configura come un potente incubatore di economie dell’innovazione, della cultura, della ricerca, della produzione artistica, investendo nella economia dell’esperienza e rafforzando il proprio capitale identitario. La città creativa è una tensione, richiede una visione prospettica e ci chiama all’azione. Sulla base di una maggiore cooperazione urbana, dei strumenti di comunicazione e di energiche risorse culturali si gioca il futuro della nostra città. E il manifesto che dovrà guidare l’azione progettuale si articola attorno a quattro cardini: una visione guida, un obiettivo strategico, la produzione di risultati concreti e una chiara dimensione evolutiva. L’obiettivo primario dovrebbe tracciare e potenziare i processi di governance urbana. Ciò di solito consente di migliorare le qualità e i risultati dei progetti di riqualificazione in un’ottica di maggiore competitività, coesione e cooperazione. Come output dovremmo essere capaci di alimentare il suo nucleo creativo e di porlo a fondamento del progetto di futuro. Una nuova agenda urbana dovrebbe contenere principi e azioni che producano nuova creatività, ridisegnando i centri, distribuendo le reti, rigenerando i luoghi e aggregando i tessuti. Il futuro: l’economia creativa promuove uno sviluppo basato sulle identità culturali e sull’innovazione: il recupero del patrimonio culturale (materiale e immateriale). La riqualificazione delle aree dismesse, l’offerta di servizi culturali, la diffusione della ricerca e il potenziamento delle infrastrutture alimentano una nuova sostenibilità economica del rinascimento urbano. George Barnard Shaw diceva: “alcuni uomini vedono le cose come sono e dicono: perché? Io sogno le cose come non sono mai state e dico: perché no?

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