Aule deserte stamane anche a Monreale. Boicottate le tanto discusse prove Invalsi, introdotte dal governo Monti e riproposte dall’attuale governo Renzi. Proprio la loro introduzione è stata al centro dello sciopero generale che ha visto scendere in piazza migliaia di insegnanti che si sono fermamente imposti alla riforma, inducendo lo stesso premier Renzi ad aprire un dialogo con i rappresentati di categoria. “Una serie di test fondamentalmente anticostituzionali che, travestiti da monito per il corretto ed equo metodo di insegnamento su standard europei, ridurrebbe l’istruzione pubblica in scuole di serie A e scuole di serie B”. Così la categoria degli insegnanti italiani difende il diritto allo studio ed all’insegnamento soggettivo degli alunni che in altri scenari si ritroverebbero a concorrere coi colleghi europei in uno scenario più aziendale che didattico. Ma realmente come sono andate le prove Invalsi nel resto del continente? Davvero l’introduzione di questa strategia ha fornito gli strumenti più adatti all’apprendimento degli alunni? L’Inghilterra, la nazione con i più alti standard educativi da sempre, nonostante abbia applicato il “teaching to the test” fin dal 1990, proprio negli ultimi periodi sta facendo un passo indietro a causa dei risultati deludenti prodotti da tale strategia a favorire l’efficacia dell’insegnamento. “Apprendimento appiattito e superficiale, memorizzazione delle conoscenze a breve termine, metodologia noiosa e ripetitiva, minaccia del fallimento agli esami come motivazione allo studio”. Cosi i rappresentati di categoria del Regno Unito hanno accusato il risultato del “teaching to test” che in Italia si tramuta nelle prove Invalsi. Stessa situazione, succede nel continente americano, dove stanno facendo i conti con questa grande illusione dei test di fine anno: a discapito di creatività e elaborazione personale sembrano essere migliorati solamente i risultati inerenti al “problem solving”. Insomma appare decisamente comprovato proprio dai nostri “cugini europei” con i quali dovremmo verificare il livello di istruzione ed apprendimento, che focalizzare la preparazione degli alunni alla prova Invalsi, limiti gli stessi soprattutto nelle discipline di logica e matematica. Per esempio in Finlandia gli studenti sottoposti al quesito (1/2) * (2/3) nel 2003 rispondevano correttamente nel 56 % circa dei casi; nel 2011 solo il 35 per cento. Di sicuro offrono un ottimo strumento di verifica a livello regionale, nazionale, ed internazionale ma con discutibili quanto deludenti risultati formativi, inserito in una riforma della scuola non apprezzata dagli addetti ai lavori con i quali Renzi ha deciso di aprire un dialogo. Sulla vicenda è intervenuta l’assessore alla pubblica istruzione del comune di Monreale Nadia Olga Granà: “Dopo lo sciopero generale di ieri, stamani a Monreale i genitori non hanno mandato i propri figli a scuola boicottando così le prove Invalsi, per manifestare contro questa riforma della scuola che, a loro dire, penalizza i figli creando scuole di serie A e di serie B. Oggi oltre un milione di bambini della scuola primaria avrebbero dovuto fare il test che ogni anno viene somministrato dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione. I risultati dei test Invalsi dovrebbero servire per attuare delle politiche correttive, ma nelle aree più depresse sembra diffusa la tendenza a copiare. È palese – continua la Granà – che se qualcuno imbroglia i risultati perdono di valore ed efficacia. La scuola è l'ambiente educativo per eccellenza. Dovremmo andare a fondo su questo fenomeno. Renzi in questo momento è impegnato al Nazareno in un incontro con i parlamentari Pd per vagliare possibili ritocchi al ddl Scuola, all'esame della commissione Cultura della Camera. Le ultime notizie diramate da Coscia (PD) riferiscono che sia stato corretto il testo, recuperando una maggiore funzione degli organi collegiali insieme al ruolo del dirigente scolastico: il piano triennale dell'offerta formativa con aggiornamenti annuali, per esempio, dovrà essere approvato dagli organi collegiali che comprendono docenti, genitori e studenti". "L'autonomia scolastica – conclude l'assessore – deve diventare uno strumento per innalzare le competenze degli studenti, combattere la dispersione, garantire partecipazione, innovazione e opportunità di successo formativo”.