Soldi, tanti soldi, e poi applati, legami più o meno occulti con politici, imprenditori ed una alleanza strategica fra mafia e 'ndrangheta per farsi largo in “terra straniera”. Nelle 500 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Stefania Donadeo rispunta nomi illustri, come quello di Domenico Zambetti, già assessore nella giunta Formigoni, finito in manette con l'accusa di avere comprato voti dalla 'ndrangheta. Spunta anche il nome di Gianni Lastella, consulente del ministero e in corsa nel 2011 per le elezioni amministrative al Comune di Milano. Ma fra gli altri nomi, più o meno cnosciuti, ne spuntano due destinati a fare parecchio rumore. Si tratta di Enrico Di Grusa, 47 anni e Cinzia Mangano, 44 anni, rispettivamente cognato e figlia dell'ex stalliere di Arcore condannato per omicidio e considerato affiliato a cosa nostra ed anello di congiuzione fra la mafia e Silvio Berlusconi, per il tramite del politico siciliano Marcello Dell'Utri. Cinzia Mangano era "quella che gestiva i soldi": bastava "l'autorevolezza del suo cognome" per esercitare l'intimidazione mafiosa. Secondo gli investigatori, la donna era "vertice, promotrice e capo" dell'organizzazione. L'organizzazione scoperta dagli inquireti viene descritta come "emanazione diretta di Cosa nostra", una vera e propria holding del malaffare che si avvaleva di società e cooperative del settore logistica e servizi nelle provincie di Milano Cremona, Lodi e Varese che le consentiva di realizzato profitti in nero. I soldi servivano per mantenere detenuti e latitanti, ma anche per investire in nuove attività imprenditoriali. Anzi, in un passaggio del dispositivo, si dice che in Lombardia si è di fronte a una "mafia imprenditoriale" che cerca di fare affari e non solo illeciti. Dagli atti emere anche un'accordo inedito fra Mafia e 'Ndrangheta: Cosa Nostra sul territorio milanese si appoggiava alle stesse cooperative alle quali, nel 2003, si era appoggiata la 'ndrangheta del gruppo Morabito per penetrare nel tessuto economico milanese. Il gip rimarca che l'organizzazione legata a Cosa Nostra, al centro della vicenda, esercitava una "forza intimidatrice" nei confronti delle aziende. "Sono numerose le vicende di imprenditori lombardi – scrive Donadeo – che vengono a trovarsi in una soggezione psicologica e di soccombenza per effetto della convinzione di essere esposti al pericolo senza alcuna possibilità di difesa, di fronte a manifestazioni concrete della forza intimidatrice; e talvolta l'esercizio della forza di intimidazione si traduce nel compimento di effettivi atti estorsivi o comunque di intimidazione, dimostrativi del metodo mafioso finalizzato al subingresso nelle società delle parti lese interessate o comunque del recupero crediti".