STORIA La storia vuole che Martino dovette arruolarsi nella cavalleria, in obbedienza ad un’ordinanza imperiale in quanto figlio di un ufficiale dell’esercito romano. Prodigiosamente, al generoso gesto di Martino, il freddo e la neve si attenuarono, il sole comparve a riscaldare le giornate: fu quella la prima estate di San Martino. Per i palermitani, invece, quel giorno finisce l’inesauribile estate, che spesso si prolunga fino a primi giorni di novembre, e per l’occasione si gusta il vino novello che l’industria vinicola fa degustare aprendo le porte alle varie cantine disseminate nel triangolo vinicolo della provincia. Martino fu definito il patrono degli ubriaconi, che affollavano le varie “taverne” della città festeggiando solenni banchetti a base di verdure cotte: “cardoni”, “vruocculi” e uova sode, accompagnati da abbondanti libagioni. Chi aveva modeste possibilità, quel giorno si limitava ad accompagnare il suo modesto pasto con del vino “novello”. Per i più benestanti tutte le scuse erano buone per imbandire la tavola e quel giorno oltre a brindare con il vino novello, si mangiava abbondantemente e sulle ricche tavole era presente il tradizionale tacchino ruspante o, in alternativa, la carne di maiale. Per il San Martino dei non ricchi, bisognava aspettare la prima domenica dopo l’11 novembre per concludeva il frugale pasto domenicale con “u viscottu i San Martino abbagnatu nn’o muscatu", (il biscotto di San Martino intriso nel moscato). Il moscato, vino liquoroso, veniva in genere offerto in dono dall’abituale fornitore di vino. Della tradizione palermitana di onorare il santo fa parte la preparazione di biscotti speciali che prendono appunto il nome di “biscotti di San Martino". Sono confezionati con fior di farina impastata con il latte e fortemente lievitata, hanno la forma di una pagnottella rotondeggiante della grossezza di un’arancia e l’aggiunta nell’impasto di semi d’anice conferisce loro un sapore e un profumo particolare. Cotti a fuoco lento, si presentano molto croccanti e friabilissimi ed in questa occasione vengono largamente consumati "abbagnati" (inzuppati) nel vino liquoroso “moscato di Pantelleria” ricavato da uve inzolia o inzuppati nel vino appena spillato. I pasticcieri della città, cui non è mancato l’estro, nel riprendere usi barocchi, impreziosiscono i tradizionali biscotti rivestendoli con una velata di zucchero fuso e decorandoli con cioccolatini fondenti, confettini, addobbi floreali di pasta reale, ripieni di crema o marmellata, facendone insomma una leccornia gradevolissima anche nell’aspetto. In altra versione, il biscotto comune, svuotato, viene anch’esso ripieno di crema di ricotta con canditi e scaglie di cioccolato e inzuppato in liquore di rhum. A Palazzo Adriano, in provincia di Palermo, la festa di San Martino è l’occasione per rispolverare una antica tradizione d’origine balcanica, un tempo molto diffusa presso tutti i paesi di origine albanese. Secondo questo costume, parenti e amici si fanno carico della costituzione della casa dei giovani che si sono sposati nell’anno corrente. In mattinata i bambini sfilano per le strade portando cesti e vassoi, adorni con tovaglie riccamente ricamate, contenenti i tradizionali “panuzzi di San Martino” ed altri dolciumi. I genitori dello sposo regalano “u quadaruni” (grossa pentola di rame), quelli della sposa “a brascera” (braciere di rame per riscaldare la casa nei mesi freddi), la comunità e gli amministratori del comune sfilano per il paese accompagnati dal suono della banda locale e la sera, a conclusione della giornata dedicata al Santo, visitano i “S.Martini” dei novelli sposi e fanno loro un dono come augurio per la nascita della nuova famiglia. Ingredienti 1 chilo di farina 50 grammi lievito di birra 300 grammi di zucchero semolato 200 grammi di strutto 30 grammi di semi di anice Un pizzico di cannella (meglio se in bacca) 40 grammi di burro Sale Procedimento Sciogliere il lievito di birra in poca acqua tiepida o latte. Setacciare la farina in una grande ciotola e versarvi il lievito sciolto nell’acqua. Lavorare con un cucchiaio di legno e, continuando ad impastare, amalgamarvi lo zucchero, lo strutto, i semi di anice, la cannella e tanta acqua o latte per ottenere un impasto morbido ed elastico (la consistenza deve essere come la pasta di pane). Lavorare l’impasto fin quando si formeranno le bolle di lievitazione, quindi ricavare dei bastoncini della lunghezza di circa dieci centimetri che avvolgeremo a spirale in modo da ottenere delle ciambelline. Adagiarle, distanziate tra loro, in una teglia imburrata e metterle da parte a lievitare, in luogo tiepido, per qualche ora. Quando saranno ben gonfie mettere in forno preriscaldato a 200° per dieci minuti, quindi sfornarli e portare il forno alla temperatura di 160° e infornare di nuovo per altri 20 – 25 minuti avendo cura che non scuriscano troppo. Una volta cotti lasciare i biscotti a riposare nel forno spento per qualche ora, così raggiungeranno quella particolare croccantezza e friabilità caratteristica. Questi biscotti si manterranno croccanti per molti giorni se avremo l’accortezza di riporli in una scatola chiusa, possibilmente di metallo. Ricordatevi infine che, per apprezzare appieno questo particolare biscotto, deve essere inzuppato rigorosamente in un buon moscato di Pantelleria. Come dicevamo, questi biscotti si possono confezionare farciti con crema di ricotta o con conserva di cedro. Per queste versioni, seguire il precedimento fino alla prima cottura, soltanto che si faranno cuocere a fuoco più basso e si sforneranno un po’ di tempo prima (saranno più morbidi). A questo punto, metterli a raffreddare, quindi tagliare la parte superiore del biscotto, intingere le due parti nel rum zuccherato, scavare un poco la base aiutandovi con un cucchiaino, e farcirli con la crema di ricotta o con la conserva. Rimettere la parte superiore sulla crema e infine spolverare con zucchero a velo. www.zoaleleviedelmistero.it
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