Dalle prime luci dell’alba, 200 Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo e del Ros, al termine di una complessa attività d’indagine coordinata dalla locale Dda (Procuratore Aggiunto Leonardo Agueci e Sostituti Procuratori Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli), sono impegnati nell’esecuzione di una trentina di provvedimenti restrittivi nei confronti di soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, diassociazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, rapine, detenzione illecita di armi da fuoco, scambio elettorale politico mafioso e traffico internazionaledi stupefacenti. Completamente disarticolato il mandamento mafioso di Bagheria, storica roccaforte dicosa nostra. Oltre a pericolosi e temuti esponenti della consorteria mafiosa, sono stati arrestati anche il reggente e il cassiere del mandamento, nonché i capi delle famiglie mafiose di Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia. Le investigazioni hanno dimostrato come il sodalizio fosse organizzato secondo il tradizionale assetto verticistico proprio delle più antiche consorterie mafiose, riprendendone addirittura i rituali di affiliazione: la “panciuta” e la presentazione dei nuovi affiliati ai mafiosi più anziani. In un’intercettazione ambientale, un uomo d’onore, discutendo con un sodale, paragona le nuove leve a giovani cavalli da trotto, da addestrare – se necessario – anche ricorrendo alle maniere forti: “quando vedi che nella salita fanno le bizze…piglia e colpisci con il frustino….sulle gambe…che loro il trotto non lo interrompono…purtroppo i cavalli giovani così sono”. Le indagini hanno inoltre messo in luce una mafia ancora aggressiva e sempre più camaleontica, pronta a mutare gli assetti organizzativi (in tal senso, il passaggio della famiglia mafiosa di Villabate dal mandamento di Misilmeri a quello di Bagheria). Una mafia che, se da una parte continua a vedere nell’imposizione del pizzo la manifestazione più visibile della sua autorità sul territorio, dall’altra è ben consapevole che, complice anche la crisi economica, è più che mai necessario ricorrere ad altre fonti illecite di guadagno, come, ad esempio, la gestione del gioco d’azzardo. Le attività hanno anche consentitodi rilevare la capacità della consorteria di condizionare le dinamiche politico/elettorali locali. È stato accertato, infatti, un patto tra alcuni mafiosi di Bagheria ed un candidato alle scorse elezioni amministrative regionali avente per oggetto la promessa di voti in cambio di danaro. Le acquisizioni raccolte hanno permesso di delineare un archetipo del fenomeno mafioso che, mediante l’intervento su istituzioni, pubblica amministrazione ed imprenditoria, opera per trarre profitti e vantaggi illeciti e che è anche capace di mettere a frutto gli utili conseguiti, riciclandoli abilmente in remunerativi investimenti intestati a prestanome compiacenti. È stato sequestrato un ingente patrimonio costituito da beni mobili, immobili e complessi aziendali costituiti da locali notturni della movida palermitana, agenzie di scommesse, imprese edili, supermercati, per un valore complessivo di circa 30 milioni di euro. Le indagini hanno infine consentito di accertare, con la collaborazione della Royal Canadian Mounted Police, l’esistenza di un raccordo operativo nel settore degli stupefacenti tra cosa nostra bagherese e la famiglia mafiosa italo/canadese dei Rizzuto, documentando, inoltre, la situazione di instabilità interna alle organizzazioni canadesi, degenerata negli ultimi anni in numerosi omicidi. ELENCO ARRESTATI : Giacinto Di Salvo, nato a Bagheria, classe 43, capo mandamento mafioso di Bagheria Sergio Rosario Flamia, nato a Palermo, classe 63, capo mandamento mafioso di Bagheria Silvestro Girgenti, nato a Palermo, classe 71 Salvatore Giuseppe Bruno, nato a Bagheria, classe 77 Driss Mozdahir, nato a Palermo, classe 87 Francesco Centineo, nato a Palermo, classe 84 Vincenzo Gagliano, nato a Palermo, classe 64 Vincenzo Graniti, nato a Bagheria, classe 66 Pietro Liga, nato a Palermo, classe 66 Salvatore Fontana, nato a Misilmeri, classe 50 Michele Cirrincione, nato a Palermo, classe 84 Atanasio Ugo Leonforte, nato a Ficarazzi, classe 55 Salvatore Lauricella, nato a Palermo, classe 76 Pietro Granà, nato ad Altavilla Milicia, classe 41 Rosario La Mantina, nato a Palermo, classe 64 Raffaele Purpi, nato a Palermo, classe 66 Vincenzo Gennaro, nato a Palermo, classe 57 Umberto Guagliardo, nato a Palermo, classe 89 Pietro Tirrena, nato a Palermo classe 75 Giuseppe Salvatore Carbone, nato a Palermo, classe 69 Settimo Montesanto, nato a Casteldaccia, classe 62 L'elenco dei beni sequestrati Le acquisizioni raccolte hanno permesso di accertare come gran parte degli illeciti profitti di cosa nostra bagherese sia stata investita in beni mobili, immobili e complessi aziendali, intestati a prestanome compiacenti. Da ciò ne è derivata l’emissione di provvedimenti di sequestro preventivo di un cospicuo patrimonio nel cui ambito, in particolare, figurano: il noto locale notturno denominato “Villa Giuditta”, situato a Palermo, in via San Lorenzo, gestito fittiziamente da Michelangelo Maurizio Lesto e destinatario di investimenti da parte di Antonino Zarcone ed Antonino Messicati Vitale; la ditta Candis, operante nel settore del movimento terra, riconducibile a Giacinto Di Salvo; l’agenzia di scommesse Goldbet di Bagheria, intestata fittiziamente ad un familiare di Bruno e riconducibile a Sergio Rosario Flamia; due supermercati, intestati a prestanome e gestiti occultamente da Flamia, anche con la complicità di Vincenzo Gagliano; la ditta Individuale “Costanzo Giuseppa”, di Altavilla Milicia, operante nel settore edile, riconducibile a Rosario La Mantia; la ditta individuale “Lombardo Giuseppe”, di Altavilla Milicia, operante nel settore edile, riconducibile a Rosario La Mantia; la ditta individuale “L.M. Costruzioni Srl”, di Altavilla Milicia, operante nel settore edile, riconducibile a Raffaele Purpi; l’impresa individuale “Scianna Isidoro”, di Bagheria, operante nel settore edile, riconducibile a Pietro Liga; vari immobili, beni mobili, e conti correnti riconducibili a Raffaele Purpi, Rosario La Mantia, Francesco Lombardo e Pietro Liga. Il valore stimato dei beni e dei complessi aziendali oggetto di sequestro ammonterebbe complessivamente a circa 30 milioni di euro. Gli assetti del mandamento ed i suoi vertici Le indagini, avviate nel 2011, hanno permesso di ricostruire gli assetti organizzativi e gli equilibri del mandamento mafioso di Bagheria, duramente colpito nell’anno 2008 con l’operazione Perseo, che portò all’arresto di numerosi affiliati e, tra questi, del suo reggente Giuseppe Scaduto, uno dei protagonisti del progetto di ricostituzione della commissione provinciale di cosa nostra. Antonino Zarcone, già a capo della famiglia di Altavilla Milicia, assumeva quindi la reggenza del mandamento, gestendone le dinamiche criminali, in sinergia con i vertici del mandamenti più influenti del capoluogo palermitano (Porta Nuova, Pagliarelli, San Lorenzo/Tommaso Natale). La sua ascesa veniva interrotta nel dicembre del 2011 quando, con l’operazione Pedro, finiva in manette unitamente ad altri uomini d’onore del mandamento palermitano di Porta Nuova. Con l’arresto di Zarcone, la compagine criminale bagherese evidenziava chiari segni di crisi, di cui si faceva interprete, una volta divenutone reggente, un anziano mafioso, Giacinto Di Salvo, (detto Gino), già capo famiglia di Bagheria. Tale periodo di reggenza è stato caratterizzato da alcune vicende che hanno influito sulla rimodulazione delle articolazioni del mandamento bagherese. Tra queste l’indebolimento del vicino mandamento di Misilmeri che, a seguito dell’arresto del reggente, Francesco Lo Gerfo, perdeva la famiglia mafiosa di Villabate che, quindi, transitava al contiguo mandamento di Bagheria. Tale sostanziale cambiamento, a sua volta, traeva origine dalla fine della latitanza (con la cattura in Indonesia ad opera del Nucleo Investigativo, in collaborazione con l’Interpol) del capo della famiglia di Villabate, Antonino Vitale Messicati, che agevolava la ascesa criminale di Salvatore Lauricella, amico di Messicati e già a capo della famiglia mafiosa di Ficarazzi, al quale veniva affidato anche il compito di reggere la famiglia villabatese. Alla luce di quanto sopra, può affermarsi che, attualmente, costituiscono articolazioni del mandamento mafioso di Bagheria le famiglie di Bagheria (che comprende anche i territori della frazione di Aspra nonché del comune di Santa Flavia), di Villabate e di Ficarazzi, di Altavilla Milicia e di Casteldaccia. Le investigazioni hanno permesso di dimostrare che la struttura della consorteria di Bagheria riproduce il classico assetto verticistico dei sodalizi mafiosi, caratterizzati da una chiara e definita ripartizione dei ruoli. Giacinto Di Salvo si colloca a capo del sodalizio, in quanto forte di un passato criminale che lo ha visto trarre in arresto, nel 1998, nell’ambito dell’operazione Grande Oriente, in quanto ritenuto responsabile di aver favorito la lunga latitanza di Bernardo Provengano, anche ospitandolo nella sua lussuosa villa bagherese. Dai servizi di intercettazione è emerso in maniera chiara ed inconfutabile che Di Salvo costituisce un autorevole elemento di raccordo delle più significative manifestazioni criminali del mandamento, talvolta contestato dai suoi diretti collaboratori che gli imputano un atteggiamento rigido ed accentratore, spesso finalizzato al soddisfacimento di interessi personali. A tal proposito è illuminante una conversazione intercettata, avente come protagonista Sergio Rosario Flamia che, testualmente, afferma: “… questi …non hanno quella mente imprenditoriale …. ma che è giusto secondo te che a Bagheria ci sono un sacco di ditte di queste … di movimento terra … e i lavori li deve fare tutti Gino (Giacinto Di Salvo)”? Flamia, pregiudicato per fatti di mafia, è uno dei più fidati collaboratori di Di Salvo, per conto del quale gestisce la cassa del mandamento di Bagheria. Egli, in qualità di capo decina, si avvale di un gruppo di spregiudicati e pericolosi “picciotti”, a lui fedelmente legati, investiti di incombenze di mero carattere esecutivo ed individuabili in Salvatore Giuseppe Bruno, Silvestro Girgenti, Drissi Mozdhair detto Andrea, Francesco Centineo e Vincenzo Gagliano. Sullo stesso piano criminale di Flamia, nella veste di capo decina, si colloca Carmelo Bartolone, già tratto in arresto nel 2005 per associazione mafiosa nell’ambito della operazione Grande Mandamento, recentemente tornato in libertà e subito reinserito a pieno titolo nelle fila del sodalizio. Anch’egli, che svolge un ruolo determinante nel reinvestimento dei capitali illecitamente acquisiti, è a capo di alcuni soldati, con mansioni meramente operative e individuabili principalmente in Vincenzo Graniti e Pietro Liga. Particolarmente significativo è uno stralcio del provvedimento cautelare, relativo all’operazione Grande Mandamento, che testualmente riporta: “…omissis… Bartolone risponde nel presente procedimento del reato di cui all'art. 416 bis c.p., quale componente della famiglia mafiosa di Bagheria, legato da peculiari vincoli personali e fiduciari con la famiglia Eucaliptus – in particolare con Nicolò Eucapilptus e con Onofrio Morreale – ed impegnato attivamente sia nel circuito di trasmissione dei biglietti da e per il latitante Bernardo Provenzano, sia come prestanome nella titolarità dell’impresa Sicula Marmi, facente parte del patrimonio occulto del capomafia Nicolò Eucaliptus. Omissis …”. Il carisma di Bartolone è messo in evidenza in un’intercettazione nella quale Vincenzo Graniti, interloquendo con un altro sodale, rimarcava l’assoluta devozione nutrita nei confronti del suo capo, così affermando:“…io a Carmelo, …(omissis)… però Carmelo io non lo abbandonerò mai…”. Più specificamente, dalle investigazioni è emerso il ruolo determinante svolto da Bartolone nel: – sostenere economicamente la famiglia di Antonino Zarcone e quella di alcuni soldati, durante la loro detenzione; – contribuire al finanziamento della cassa della famiglia, con parte degli illeciti profitti derivanti soprattutto dalle attività estorsive. La mattina del 04 dicembre 2012, si verificava però un accadimento destinato a segnare significativamente le dinamiche della famiglia mafiosa di Bagheria. I Carabinieri della locale Compagnia, nel corso di un servizio di controllo effettuato sul conto di Bartolone, per verificare il rispetto delle prescrizioni imposte dalla sorveglianza speciale di P.S., ne constatavano l’assenza. La moglie, apparentemente per nulla allarmata, rappresentava ai militari che il marito si era allontanato volontariamente, portando con se anche una valigia con degli indumenti. E, in effetti, il quadro complessivo delle risultanze investigative converge sull’ipotesi dell’allontanamento volontario di Bartolone in considerazione: – della sua caratura criminale e della certezza di poter ricevere appoggio dai suoi fedeli sodali anche per sostenere un lungo periodo di latitanza; – dei contrasti avuti con Giacinto Di Salvo, tanto da fargli temere per la sua incolumità personale. Nello specifico, Di Salvo avrebbe contestato a Bartolone il mancato versamento alla cassa del provento di alcune attività illecite. Un’ulteriore chiave di lettura dei fatti di cui sopra, ci è fornita dalla conversazione intercettata fra Sergio Flamia e Vincenzo Gagliano, nel corso della quale il primo asserisce: “eh non solo! non solo si è andato a buttare latitante….Enzo se viene un uccellino e mi dice a me…stai attento…guardati quando cammini e stai attento perchè…(incomprensibile)…il programma che vogliono ammazzarti che e come…io mio tolgo il guinzaglio…ed affronto a chiunque perché sono onesto…ma se io mi attacco alla "lanna" (non contesto le accuse ndr) e me ne vado … già la prima cosa che sto dimostrando è che…minchia ho torto… omissis ..cornuto ed indegno che è…ed è tanto cornuto…capace che pensa che sono io che lo volevo portare a morire…”. Per quanto riguarda la famiglia mafiosa di Villabate, è emerso che è stata retta da Antonino Messicati Vitale, anche durante la latitanza e sino al suo arresto, avvenuto in Indonesia. Costui, storicamente legato a Nicola Mandalà, ergastolano capo mafia villabatese, scalava i vertici della famiglia mafiosa di Villabate, succedendo a Giovanni D’Agati (tratto in arresto nel 2009 nell’ambito dell’operazione Senza Frontiere). Come già detto, successivamente all’arresto di Messicati Vitale, Salvatore Lauricella assumeva la reggenza sia della famiglia mafiosa di Villabate che di quella di Ficarazzi, che è riuscito abilmente a gestire grazie alla fedele collaborazione di uomini d’onore, quali Atanasio Ugo Leonforte, Michele Cirrincione, Salvatore Fontana e Michele Rubino. Con riferimento alla famiglia di Altavilla Milicia, le investigazioni hanno consentito di documentare la delicata fase di riorganizzazione del sodalizio in seguito all’arresto del suo capo, Francesco Lombardo. Le indagini hanno anche evidenziato il significativo ruolo svolto da alcuni sodali, tra cui Rosario La Mantia, Pietro Granà, Raffaele Purpi, Vincenzo Gennaro ed Umberto Guagliardo, non solo nella commissione delle estorsioni, manifestazioni criminali tipiche di cosa nostra, ma anche nella gestione e nel controllo della criminalità comune. Inoltre, è emerso che il sodalizio si è occupato del mantenimento della famiglia del detenuto Gaetano Lipari, insospettabile dipendente dell’Asl di Bagheria e noto per essere stato l’infermiere di Provengano, che lo indicava nei suoi “pizzini” con il “numero 60”. I riti per le nuove affiliazioni Cosa nostra bagherese costituisce un archetipo criminale che si colloca a metà strada tra il vecchio e il nuovo, capace di rimodulare rapidamente i propri assetti per essere sempre incisivamente presente sul territorio ma, al tempo stesso, profondamente rispettosa delle tradizioni. L’ingresso nelle fila del sodalizio è considerato un momento fondamentale nella vita del mafioso, in quanto avvia un legame indissolubile di appartenenza e, pertanto, da enfatizzare con i rituali più antichi della affiliazione, quelli della “panciuta” e dellapresentazione delle nuove leve agli anziani uomini d’onore. Non meno importante la formazione e l’ammaestramento delle nuove leve che, secondo una ottimistica visione strategica, rappresentano il futuro di cosa nostra e pertanto devono essere bene indottrinati, se necessario anche con le maniere forti, come si fa con i giovani cavalli da trotto. A tal proposito, si riportano le seguenti conversazioni intercettate: – “…ieri… …si doveva fare una certa situazione a Villabate… …dovevamo sistemare a uno di Villabate… ed è giusto che siamo presenti noi altri pure… “ho incontrato lo Zu Ginu (Giacinto Di Salvo, )… …e lui poi lo prende e lo porta prima a prendersi il caffè e me lo presentate … perché si usa… …una presentazione ufficiale, anche se io lo conosco, so chi è…”. omissis “…però ci vuole una presentazione ufficiale… e non è venuto più!”; – “quando vedi che nella salita fanno le bizze…piglia e colpisci con il frustino….sulle gambe…che loro il trotto non lo interrompono…purtroppo i cavalli giovani così sono”. Il traffico internazionale di stupefacenti Nell’ambito di una collaborazione info–investigativa con la Royal Canadian Mounted Police (RCMP) e dietro specifica richiesta in tal senso, nel settembre 2012 è stata avviata un’indagine nei confronti di Juan Ramon Fernandez Paz, un noto esponente di cosa nostra canadese legato alla famiglia Rizzuto, attiva a Montreal ed in altre regioni del Canada, espulso dal quel paese dopo aver scontato una condanna a 10 anni di reclusione e di recente giunto a Bagheria. Le indagini hanno consentito di documentare il significativo ruolo svolto da Fernandez nell’organizzazione: – di un canale di importazione in Canada di pillole di ossicodone, una particolare sostanza stupefacente largamente diffusa nel Nord America che è sottoposta ad una stringente legislazione che ne limita la circolazione, avvalendosi di sodalizi palermitani in grado di garantire l’approvvigionamento del narcotico e la successiva spedizione; – di un traffico di cocaina ed eroina dal Sud America verso il Canada e l’Italia. In tale quadro, le indagini hanno avuto riscontro nell’arresto di un affiliato al gruppo, Pietro Sorci, perché trovato in possesso di 650 grammi di eroina; – la disponibilità di armi da fuoco. Le investigazioni hanno anche permesso di delineare il particolare scenario criminale canadese, caratterizzato da una forte instabilità, soprattutto con riferimento a cosa nostra di Montreal e Toronto, lacerata da un conflitto che, negli ultimi 3 anni, ha visto l’esecuzione di più di 50 omicidi. È così emersa la frattura esistente tra Vito Rizzato, noto boss di cosa nostra canadese ed un suo luogotenente, Raynal Desjardin. Quest’ultimo approfittando dello stato di detenzione del rivale, avrebbe tentato di scalare i vertici dell’organizzazione, eliminando la vecchia guardia del sodalizio. Il tentativo, però, trovava la decisa e ferma reazione di Vito Rizzuto il quale, tornato in libertà nell’ottobre del 2012, dopo 8 anni di detenzione, metteva in atto una controffensiva che gli consentiva di riprendere il controllo della famiglia. Lo scambio elettorale politico/mafioso Le attività hanno anche consentito di rilevare la perdurante capacità della consorteria di condizionare le dinamiche politico-elettorali locali. È stato accertato, infatti, un patto con la promessa di voti in cambio di danaro, 3 mila euro, tra alcuni mafiosi di Bagheria ed un candidato alle scorse elezioni amministrative regionali: quest’ultimo individuato in Giuseppe Scrivano, attuale Sindaco del Comune di Alimena e vicesindaco del Comune di Villabate dal giugno 2007 al giugno 2008.