Dall’alba di oggi, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Monreale e della Compagnia di Corleone, supprtati da unità cinofile e da un elicottero, dopo una complessa ed articolata indagine sul mandamento mafioso di Corleone, coordinata dalla Dda di Palermo, dal Procuratore Aggiunto Leonardo Agueci, dai Sostituti Procuratori Sergio Demontis, Caterina Malagoli e Gaspare Spedale, hanno eseguito 6 fermi di indiziato di delitto nei confronti di altrettanti boss e gregari, indagati per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento, illecita detenzione di armi da fuoco. I provvedimenti scaturiscono da un’attività investigativa sviluppata in prosecuzione delle indagini denominate Grande Passo e Grande Passo 2, che tra il settembre 2014 ed il gennaio del 2015, avevano colpito gli esponenti delle famiglie mafiose di Corleone e Palazzo Adriano. Le acquisizioni investigative hanno permesso di individuare il capo mandamento in Rosario Lo Bue, fratello di Calogero già condannato per il favoreggiamento di Bernardo Provenzano, di ricostruire l’assetto del mandamento mafioso di Corleone (uno dei più estesi) ed in particolare delle famiglie mafiose operanti sul territorio dell’Alto Belice dei Comuni di Chiusa Sclafani e Contessa Entellina. IL MANDAMENTO DI CORLEONE Grazie all’intenso lavoro investigativo di Magistrati e Carabinieri, è stato individuato l’attuale capo del mandamento di Corleone in Rosario Lo Bue, fratello di Calogero già condannato per il favoreggiamento di Bernardo Provenzano. Rosario Lo Bue era già stato tratto in arresto nel 2008 nel corso dell’operazione “Perseo”. Successivamente assolto in via definitiva in virtù dell’inutilizzabilità delle intercettazioni, fece immediato rientro a Corleone. Nel corso delle indagini si è dimostrato essere capo assolutamente carismatico e fautore di una linea d’azione prudente, continuando così nella linea di comando lasciatagli da Bernardo Provenzano. Proprio questo suo modo di condurre le attività del mandamento ha creato non poche fibrillazioni all’interno della famiglia mafiosa di Corleone. In particolare Antonino Di Marco, arrestato a settembre 2014, da sempre ritenuto vicino alle posizioni tenute dall’altro storico boss corleonese Salvatore Riina, in più occasioni aveva modo di lamentarsi del modo con il quale Rosario Lo Bue gestisse gli affari dell’organizzazione. In tale contesto nel corso dell’indagine è emerso come Vincenzo Pillitteri e Pietro Paolo Masaracchia, capo della famiglia di Palazzo Adriano, arrestato nel settembre 2014, nutrissero l’ambizione di costituirsi in una articolazione criminale autonoma, distaccando i propri territori di pertinenza ed influenza, ossia Palazzo Adriano, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina, dal mandamento mafioso di Corleone, con la convinzione di creare un nuovo mandamento. Queste divergenze tra soggetti riconducibili alle storiche famiglie Riina – Provenzano si manifestavano quando i Lo Bue tentavano invano di estromettere la famiglia Di Marco dalla gestione di alcuni terreni al confine tra Monreale e Corleone, in località Tagliavia, estesi per circa due ettari. Per dirimere questa controversia e per ristabilire l’ordine, si richiedeva l’intervento in prima persona di Antonina Bagarella, moglie di Salvatore Riina, la quale, con ferma autorevolezza, rimproverava il capo mandamento. In conclusione è stato accertata tutt’ora l’esistenza delle due anime contrapposte all’interno dell’organizzazione criminale, storicamente patrocinate da Bernardo Provenzano e Salvatore Riina. IL SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA RIINA E’ stata anche acclarata la costante e rigida applicazione di una fondamentale ed inderogabile regola di cosa nostra ovvero quella di garantire il sostentamento economico agli affiliati detenuti, a maggior ragione se il sostentamento è a favore dei familiari del capo indiscusso dell’associazione mafiosa, Salvatore Riina. In passato, già nelle indagini “Apice” e “Grande Passo” venivano documentati episodi concernenti il costante sostentamento alla famiglia Riina, attraverso l’elargizione di somme di denaro. Le recenti attività hanno rivelato l’elargizione di ulteriori contributi di solidarietà a favore dei familiari di Riina, in specie a favore del figlio Giuseppe Salvatore, a cui Pietro Paolo Masaracchia faceva pervenire, almeno in una circostanza, una somma di denaro. LA FAMIGLIA MAFIOSA DI CHIUSA SCLAFANI Nell’agosto 2014 è stata ricostruita una riunione di mafia nel corso della quale Rosario Lo Bue nominava Vincenzo Pillitteri quale reggente della famiglia mafiosa di Chiusa Sclafani in sostituzione del vecchio rappresentante Gaspare Geraci, oggi 89enne, e quindi impossibilitato a gestire in prima persona gli affari della famiglia mafiosa. Nella gestione dell’organizzazione operante a Chiusa Sclafani, Vincenzo Pillitteri poteva contare dell’apporto del figlio Salvatore e dei nipoti Roberto e Salvatore Pillitteri. Per quanto riguarda Contessa Entellina è stato accertato che non operando sul territorio una vera e propria famiglia mafiosa, Pietro Pollichino, organicamente inserito nella famiglia di Chiusa Sclafani, era stato individuato responsabile areale sul quel territorio. L’associazione mafiosa ha continuato a mantenere saldamente in mano il controllo del territorio esercitando una costante pressione sul tessuto sociale, attraverso i classici metodi intimidatori del danneggiamento di mezzi d’opera e degli incendi. Sono tuttora in corso indagini volte a verificare ulteriori attività illecite riconducibili agli indagati. IL PROGETTO OMICIDIARIO Nel corso delle indagini gli inquirenti hanno ricostruito il progetto di un omicidio di una vittima ancora non identificata. L’omicidio veniva commissionato per 3000 euro da due commercianti di Chiusa Sclafani a Vincenzo Pillitteri e Pietro Paolo Masaracchia, previa autorizzazione ricevuta da Gaspare Geraci. I preparativi per la commissione dell’omicidio, il cui movente è da ricondurre a dissidi privati intercorsi tra i committenti e la vittima, sono stati interrotti dagli investigatori e dalla Magistratura il 23 settembre 2014, quando Pietro Paolo Masaracchia, subito dopo aver eseguito un ultimo sopralluogo individuando il luogo preciso dove avrebbe dovuto commettere l’omicidio, venne sottoposto a fermo nell’ambito dell’operazione “Grande Passo”. IL PROGETTO DELLA RACCOLTA DEL LATTE E’ emerso inoltre, l’interesse di alcuni imprenditori romani del settore lattiero/caseario, non potuti identificare, alla raccolta del latte della zona dell’Alto Belice, da convogliare presso l’impianto sito in contrada Noce di proprietà del Comune di Corleone per il successivo trasporto a Roma e l’immissione nella grande distribuzione. Gli imprenditori capitolini si affidavano ad un altro imprenditore agricolo trapanese, Giovanni Impiccichè. Per favorire il gruppo di imprenditori romani Impiccichè si rivolgeva, probabilmente in virtù di una vecchia conoscenza, a Pietro Campo, già condannato per associazione mafiosa, ritenuto esponente di vertice della famiglia mafiosa di Santa Margherita Belice, il quale a sua volta decideva di avvalersi sul territorio di interesse di Vincenzo Pillitteri, reggente della famiglia mafiosa di Chiusa Sclafani, per la realizzazione del progetto. A tal fine, pianificava un sopralluogo presso la struttura di contrada Noce di Corleone, dove in il 3 settembre 2014 Vincenzo Pillitteri realizzava un incontro con Leoluchina Savona, Sindaco di Corleone, Giovanni Savona, fratello del primo cittadino, Giovanni Impiccichè e Sebastiano Tosto, responsabile dell’area palermitana del comitato esecutivo del Distretto lattiero-caseario regionale, fratello di Salvatore Tosto, già condannato per associazione mafiosa perchè ritenuto vicino a Salvatore Riina. In verità, il progetto non si realizzava forse perché la struttura di contrada Noce veniva ritenuta sproporzionata rispetto al quantitativo di latte che nel circondario si sarebbe potuto raccogliere, per cui i costi di gestione venivano ritenuti eccessivi e non convenienti. La vicenda comunque confermava nello sviluppo delle sue dinamiche il vincolo associativo che lega gli indagati e la loro capacità di condizionamento territoriale ed ambientale. LA DISPONIBILITA’ DI ARMI A Giugno venivano anche intercettate delle conversazioni dalle quali emergeva che il gruppo criminale di Chiusa Sclafani stava formando un piccolo arsenale di armi nascoste in una località ancora da individuare per compiere delitti. Tenuto conto dei progetti omicidiari e delle pericolosità sociale dimostrata dagli appartenenti a cosa nostra, la Dda di Palermo ha ritenuto necessario procedere ai fermi del potenziale gruppo di fuoco e dei vertici dell’organizzazione al fine di evitare la commissione di reati più gravi. Gli “eredi” di Provenzano e Riina, in un’intercettazione, avrebbero fatto riferimento anche all’eliminazione del ministro Angelino Alfano, per il suo impegno nell’inasprimento del 41 bis, il regime di carcere duro, accostando le sue sorti a quelle di John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti ucciso a Dallas il 22 novembre del 1963 con un colpo di fucile di precisione. Gli arrestati: 1. LO BUE ROSARIO SALVATORE, NATO A CORLEONE (PA) IL 09.04.1953, IVI RESIDENTE, PREGIUDICATO, PASTORE, CAPO DEL MANDAMENTO DI CORLEONE; 2. PELLITTERI VINCENZO, NATO A CHIUSA SCLAFANI (PA) IL 26.04.1952, IVI RESIDENTE, CON PRECEDENTI DI POLIZIA, PASTORE, CAPO DELLA FAMIGLIA MAFIOSA DI CHIUSA SCLAFANI; 3. PELLITTERI ROBERTO, NATO A CHIUSA SCLAFANI (PA) IL 24.07.1990, IVI RESIDENTE, OPERAIO, INCENSURATO, FIGLIO DI VINCENZO; 4. PELLITTERI SALVATORE, NATO A PALAZZO ADRIANO (PA) IL 25.07.1992, RESIDENTE A CHIUSA SCLAFANI, CON PRECEDENTI DI POLIZIA, OPERAIO, FIGLIO DI VINCENZO; 5. PELLITTERI SALVATORE, NATO A CORLEONE (PA) IL 30.08.1976, RESIDENTE A CHIUSA SCLAFANI, CON PRECEDENTI DI POLIZIA, OPERAIO, NIPOTE DI VINCENZO; 6. POLLICHINO PIETRO, NATO A CHIUSA SCLAFANI (PA) IL 23.08.1941, RESIDENTE A CONTESSA ENTELLINA (PA), CON PRECEDENTI DI POLIZIA, PASTORE, REFERENTE TERRITORIALE DI CONTESSA ENTELLINA;