Cronaca

Monreale, l’ultimo militare aviere siciliano della seconda guerra mondiale

DI MIRELLA MASCELLINO

Giuseppe Mastropaolo è nato il 5 marzo 1922 a Monreale, dove vive tuttora. Il 18 luglio del 1941 parte per la guerra ed essendo meccanico frequenta il corso di motorista a Santa Maria Capua a Vetere, conseguendo, il 28 marzo 1942, il diploma di Aviere Scelto Motorista con obbligo di volo continuo. Il suo aereo era un “313 Marchetti”, partì dall´aeroporto di Gioia del Colle che in quegli anni aveva atterrato quattromila aerei. Lì finita la guerra, gli americani lasciarono più di 500 aeroplani. Oggi potrebbe essere l´unico militare aviere dell´isola, ancora vivente, che ha combattuto nei cieli durante il secondo conflitto mondiale. Nel 1964 ha ricevuto la croce al Merito di Guerra, quale riconoscimento dei sacrifici sostenuti, nell´adempimento dei doveri per avere partecipato alle operazioni di guerra nel Mediterraneo dall´11 settembre 1942 all´8 settembre 1943.

Quando parte per la guerra?

Ero meccanico ed ho frequentato il corso di motorista a Santa Maria Capua a Vetere e Dopo il corso mi affidano un bimotore, Marchetti, che sarà sotto la mia responsabilità. A 20 anni sono già motorista. Io ero autorizzato a volare col mio equipaggio,tredici avieri, c´era il radiofonista che dipendeva anche da me. Sono stato sei mesi a Le Luc, aeroporto francese, da cui volavamo sui cieli del Mediterraneo, sullo stretto di Gibilterra, bombardando i mari, sorvolavo le Dolomiti. Una volta sono caduto sui Pirenei, col mio aereo. Non conoscevo il territorio per atterrare e continuando a volare, rischiavo di rimanere a secco e così siamo caduti sulle montagne, piene di neve. Ci sentivamo morti. Meno male che c´era la neve e atterrando non ci siamo fatti male. Così camminando camminando, dopo molti giorni riuscii a tornare a Le Luc, trovando rifugio nelle campagne e mangiando castagne. Gli apparecchi erano delicatissimi, non erano certo quelli di oggi. La tenda era di tela, vibrava. C´erano gli “spezzonieri”(i velivoli che lanciavano le bombe), con degli spezzoni messi per lanciare le bombe perchè la bomba viaggiava con noi. A bordo c´era anche l´armiere. Mano mano che perdeva la velocità l´aereo si inclinava e la bomba veniva appresso a noi finchè non veniva sganciata. Ho fatto diversi bombardamenti, ho assistito ad altri.

Ci racconta i bombardamenti?

Eravamo sui Pirenei, in mezzo alla neve e per scaricare le bombe che avevamo a bordo, senza lanciarle, riuscii ad atterrare senza carrelli sulla neve. Con noi c´era l´osservatore. Era già sera e non avevamo dove andare. Avevamo le stufe catalittiche a benzina che servivano per fare partire l´aereo con motore a benzina, facendo girare l´elica. Si prendeva l´elica, vincendo la compressione del motore e si faceva girare a mano, era il lancio dell´elica.Era una manovra delicata e pericolosa. Lo facevo solo per evitare che potesse succedere un incidente. Nel ´43, sorvolando lo Stretto di Gibilterra, da terra ci vedevano e ci sparavano coi cannoni. Una volta ci ruppero i tubi(flap), i comandi dell´aeroplano erano ad olio, mica elettronici come adesso. Pesavano 15 tonnellate. Le navi che vedevamo erano dirette o a Malta o in Italia. Così noi sganciammo le bombe. Una non si sganciò, restando pericolante e mettendo a rischio la nostra stessa vita. Così andammo sui Pirenei per atterrare lì, senza carrello, utilizzando la neve alta e soffice. Ma a un certo punto, ricordo che l´aeroplano s´imbattè sulle rocce. Così passammo la notte lì sulle montagne e per fortuna, come dicevo, avevamo le stufe catalittiche che servivano a non fare ghiacciare i motori. Più tardi studiarono che al posto delle stufe mettevano la bombola di ossigeno, sotto pressione che riusciva a mettere in moto l´aereo. Lanciammo centinaia di bombe, per un periodo molto lungo, come ben sapete. C´era chi si salvava e chi moriva, chi rimaneva in mare.

Dov’era l´8 settembre?

Ero in Francia, a Le Luc. Da lì partivamo per i cieli. Fui accusato di diserzione. Ricordo quel giorno. Alle ore 20.00, Badoglio dettò l´armistizio alla radio. L´italia chiedeva l´armistizio incondizionato. Loro scapparono e noi poveri soldati fummo abbandonati a noi stessi. Il re si diede alla fuga, prima scappò a Villanova d´Albenga e poi a Brindisi. Io stesso mi ritrovai a fare due guerre. Da quel momento c´erano le camicie nere e i militari come noi. Noi dovevamo passare una linea impenetrabile sulla quale c´erano i tedeschi che ci consideravano traditori e che se ci prendevano ci ammazzavano.

Cosa facevate per sopravvivere?

Io ho lottato in tutti i modi per non essere preso prigioniero. Io ero molto intraprendente. Eravamo in Francia e facevamo la fame. Vivevamo fuori all´addiaccio. Per mangiare dovevamo arrangiarci. Prendevamo quello che trovavamo. Un giorno andai a pesca arrangiandomi come meglio potevo, utilizzando gli oggetti che avevamo. Così dissi al capitano se mi permetteva di andare con lui, a Milano. Andando lì compravo delle sigarette ad un prezzo basso, corrompendo anche il barista dello spaccio. Duecento pacchetti di sigarette a cento lire. In Francia nessuno aveva le sigarette e li desideravano. Io le nascosi nel carrello dell´aereo.Li uscivo di nascosto e li vendevo, a mezza lira al pacchetto, facendo un po´ di soldi e ricomprando con quei soldi viveri per me e i miei compagni. Grazie a questa intraprendenza riuscii a sopravvivere.

Come riesce a tornare a casa?

Pur di tornare a casa sano e salvo escogitai di tutto. Andai a Venaria Reale, in Piemonte, dove ero stato più volte e dove conoscevo una famiglia che mi aveva dato rifugio, essendo disertore. In quella città assistetti alla fucilazione di quattordici persone, da parte del generale fascista Rossi perchè eravamo traditori. In quella famiglia c´era una ragazza della mia età, Nanda. Mi rivolsi a lei chiedendole di portarmi degli abiti di donna per scappare. Lei si mise a piangere. La rassicurai, dicendole che sarei tornato a trovarla, sebbene sapevo che non sarei più tornato. Nanda mi portò gli abiti ed io vestito da donna, con la veletta in testa, davanti al viso, raggiunsi a piedi Mirafiori. Giunto lì, mi recai alla sala macchina. Mi nascondevo perchè avevo paura dei tedeschi. Ricordo come trattavano gli italiani, legati come bestie sui treni e con le baionette in canna pronti a sparare a chiunque cercasse di scappare da. Mi rivolsi a dei macchinisti, chiedendo aiuto. Chiesi una tuta delle ferrovie, le mostrine, dei biglietti, una lampadina, come un vero ferroviere. Riuscii così a raggiungere Torino. Sul treno c´erano anche i tedeschi. Mi informavo prima dove eravamo e avvisavo i viaggiatori. Arrivai a Torino di Sangro, sull´Adriatico e incontrai l´esercito italiano che saliva e le camicie nere che scendevano. C´era la guerra tra gli italiani. Andai a vedere una messa e chiesi al prete se mi dava rifugio. Il prete aveva paura perchè sapeva che se i tedeschi mi scoprivano fucilavano a me e a loro. Io lo convinsi a nascondermi sul campanile e nel frattempo chiesi loro, dandogli dei soldi, se mi facevano fare un abito, perchè avevo solo la tuta di ferroviere. Lì c´era un sarto, Tullio, il cui figlio era stato mio compagno soldato, prima. Il prete mi mandò da mangiare, sul campanile, tramite lui e gli chiesi se mi cucissero un vestito, ma poiché non c´era tempo me lo procurarono e assieme al vestito chiesi loro di procurarmi una piccola barca per farmi scappare e raggiungere Gioia del Colle e Bari poiché per terra potevo incontrare il nemico. Nella piccola barca misi un legno con un fazzoletto bianco, cosicchè appena ci videro, degli uomini dell´esercito italiano mi vennero a prendere e mi portarono a Gioia del Colle, il luogo da cui ero partito con l´aereo. Mi ridiedero la divisa di soldato, era l´8 febbraio del 1945. Lì ci inquadrarono e assieme agli altri soldati dispersi dovevamo fare lo sgombero dei campi di aviazione. Per circa un anno rimasi lì, fino a quando mi mandarono a casa in congedo illimitato. Fui processato e assolto del reato di diserzione. In tutti questi anni i miei non sapevano nulla di me. Una mattina venne un colonnello per chiederci dove volevamo andare. Io scelsi Villa San Giovanni. Da lì potei finalmente tornare a casa, camminando a piedi, in carrozza e in treno, fino a Santa Flavia e poi a piedi fino ad Aquino, alle porte di casa. Lì mio padre mi aspettava perchè qualche giorno prima aveva avuto notizie del mio ritorno. Vicino alla cartiera, mi venne incontro, mi prese in braccio ed andammo a casa.

Ripresi la mia vita familiare ed ebbi la fortuna di essere chiamato a lavorare per una società, all´Acquedotto Civile del comune di Palermo a fare il motorista.

Questa intervista, registrata il 28 dicembre 2014, non si sarebbe mai realizzata senza l´aiuto e l´invito di Salvatore Mangiacavallo, al quale sono infinitamente grata. Ringrazio Giuseppe Mastropaolo per avermi accolta nella sua casa, donandomi i ricordi preziosi di “Testimone del tempo” che ha attraversato la Storia, con coraggio e semplicità.

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