Due giorni di scavi nella casa di campagna di Vincenzo Graziano, uomo d’onore di Resuttana, a caccia del tritolo che sarebbe servito ad uccidere il magistrato Nino Di Mateo. Lo rivela Riccardo Arena nell’articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia e ripreso dal sito internet del quotidiano palermitano.
La corsa contro il tempo, è scattata dopo le dichiarazioni di Vito Galatolo, rivolte proprio a Di Matteo: “Dottore, i mandanti per lei sono gli stessi del dottore Borsellino”. È scattata dunque la caccia al tritolo arrivato a Palermo per uccidere il magistrato che indaga sulla trattativa Stato-mafia. Le ricerche si sono concentrate a Monreale, dove Graziano, arrestato, assieme al boss neopentito, nel blitz Apocalisse del giugno scorso, possiede una casa ed un terreno. Ma scavi, saggi del terreno, l’uso dei metal detector, del georadar e dei cani antiesplosivo non hanno portato a scoprire alcunché.
“Un summit di boss, tenuto sul finire del 2012, avrebbe dato il via all’operazione che avrebbe dovuto portare all’attentato contro Di Matteo – scrive Arena -. Galatolo non ha indicato con precisione — al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e al procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi — i moventi e le ragioni di un’esecuzione che avrebbe potuto riportare a Palermo la stagione del terrore e della mafia sanguinaria. Era più urgente dare indicazioni sui luoghi in cui cercare l’esplosivo che si sarebbe potuto utilizzare per uccidere il pm e chissà quante altre persone. Mentre allo stesso Di Matteo, col quale Galatolo aveva chiesto di parlare per primo, il capomafia dell’Acquasanta ha detto una frase che riporta a mandanti esterni a Cosa nostra, a interessi oscuri che già avrebbero portato all’eliminazione — da molti ritenuta anomala e oggetto di una serie di depistaggi delle indagini — del giudice Paolo Borsellino. Di Matteo, ascoltato Galatolo, ha preparato subito una relazione di servizio inviata ai suoi superiori gerarchici. È stato così il procuratore facente funzioni di Palermo, Leonardo Agueci, a mettere in moto i meccanismi di protezione e l’invio degli atti al procuratore generale, Roberto Scarpinato, al capo dei pm nisseni, Lari, al prefetto Francesca Cannizzo e al questore Maria Rosaria Maiorino”.
Sono scattete subito le ricerche dell’esplosivo nella villetta di Grazianoe, anche se non è stato trovato nulla — l’immobile e il terreno dopo due giorni sono stati restituiti al titolare — l’allarme non viene meno. Gli uomini della Dia, una quindicina, sono andati a Monreale, altri poco distante, altri ancora in luoghi diversi. Perché nel giro di un anno e mezzo, da quando potrebbe essere stata decisa l’esecuzione, è probabile che l’esplosivo sia stato spostato più volte, per evitare rischi come i pentimenti. Che poi, puntualmente, si verificano.
“Nemmeno Galatolo, 41 anni, detto «u Picciriddu», aveva certezze sull’ubicazione e sul nascondiglio: l’indicazione di Graziano e del suo terreno è stata un’ipotesi – continua Arena -. Vincenzo Graziano, ritenuto specializzato nella gestione delle slot machines, che avrebbe svolto per conto di Cosa nostra, era stato accusato di associazione mafiosa, con funzioni direttive: fu il primo indagato di peso a lasciare il carcere, poco dopo il blitz Apocalisse; il tribunale del riesame lo rimise in libertà per mancanza di gravi indizi di colpevolezza. Già condannato per mafia, aveva finito di scontare la pena nel 2012 e sarebbe stato regista del monopolio delle macchinette mangiasoldi e delle scommesse online, fonte di finanziamento per le «famiglie», proprio con Vito Galatolo e che assieme a parenti e amici i due avrebbero imposto nei bar di mezza città.
Gli inquirenti stanno intanto cercando di inquadrare pure il momento in cui i boss avrebbero deciso l’attentato: secondo quanto emerso, si collocherebbe attorno a dicembre 2012, quando Vito Galatolo — che era libero ma aveva il divieto di stare a Palermo — poteva tornare per seguire i processi. Due i summit ricostruiti nel blitz Apocalisse: l’incontro-clou sarebbe dovuto essere con Girolamo Biondino, fratello di Salvatore e padre di Giuseppe, nei giorni prima e dopo l’Immacolata di due anni fa. Il primo summit, fissato a Partanna Mondello, andò a vuoto, perché Biondino non si convinse di qualcosa e gli investigatori lo constatarono de visu. Il secondo fu organizzato con modalità più riservate, nella zona di via Lincoln. E stavolta il contatto visivo fu perso: forse fu allora che la sentenza mafiosa contro il pm antimafia fu emessa”. (Fonte gds.it)