Nel pomeriggio del 6 ottobre i Carabinieri della Compagnia di Monreale hanno dato esecuzione a due ordinanze di custodia cautelare a carico di Antonino Caltagirone, classe ’82, pregiudicato, e di suo padre, Vincenzo Caltagirone, classe ‘42, entrambi di San Cipirello.
I provvedimenti, spiccati dal Gip Lorenzo Matassa, scaturiscono dalle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Palermo, Sostituto procuratore Gianluca De Leo ed Ilaria De Somma, sull’omicidio di Concetta Conigliaro, per il quale, l’8 giugno scorso, i militari avevano fermato il marito, Salvatore Maniscalco.
Un grandissimo risultato, dunque, per la Compagnia dei Carabinieri di Monreale coordinati dal Capitano Paolo Del Giacomo, che in soli tre mesi hanno risolto un caso che era iniziato con la denuncia di scomparsa. Gli setssi militari, sin da subito non avevano creduto alla versione del marito di Concetta, Maniscalco.
L’uomo, in precedenza e precisamente il 23 aprile, ne aveva denunziato falsamente l’allontanamento volontario. Dopo approfondite indagini finalizzate a ricostruire tutte le tracce della presenza di Concetta nei giorni immediatamente antecedenti alla sua sparizione, gli investigatori di Monreale avevano focalizzato la loro attenzione sul marito, tradito peraltro da un particolare dettaglio emerso dagli accertamenti: i tabulati sviluppati sulla scheda sim della donna ne avevano infatti dimostrato l’associazione con il telefono dell’uomo il 13 aprile e dunque dopo quattro giorni dalla data del 9 aprile, che più circostanze indicavano come ultimo giorno di accertata presenza della vittima. Dopo un estenuante interrogatorio dei militari, Maniscalco, crollato, li aveva condotti sul luogo dove poi furono rinvenuti parziali resti umani, completamente carbonizzati, che il medesimo aveva poi indicato come quelli di sua moglie.
Da quel momento in poi, prima di fronte al Pm e poi di fronte al Gip, Maniscalco veva alternato profondi silenzi a sproloqui consistiti in dichiarazioni inverosimili o contraddittorie, motivo per cui, convalidato il fermo, è rimasto all’Ucciardone.
Sin dalle prime battute gli investigatori si erano persuasi che Maniscalco potesse aver contato sulla collaborazione di qualcuno: appariva inverosimile che avesse fatto a pezzi, trasportato e carbonizzato il cadavere della povera Concetta senza ricevere l’aiuto di nessuno.
I suoi stretti legami con i Caltagirone, rispettivamente zio e cugino, insieme ai quali lavorava quale manovale per la raccolta e lo smaltimento di rifiuti ferrosi, avevano indirizzato i sospetti su questi ultimi, già sentiti nelle primissime battute dell’indagine; continui, seppure confusi, i riferimenti di Maniscalco alla partecipazione di terzi, mai precisamente specificati.
I Carabinieri, guidati dalla Procura della Repubblica di Palermo, hanno effettuato una serie di accertamenti finalizzati a riscontrare le dichiarazioni rese da Maniscalco e dai Caltagirone, incrociando i fatti emersi con le informazioni acquisite da vicini di casa e dall’analisi dei tabulati dei loro telefoni cellulari. Determinante anche l’apporto concreto e collaborativo della legale della vittima, l’avvocato Maria Grazia messeri, per fornire un quadro di situazione dettagliato ed attendibile che ha orientato i Carabinieri sulla ricostruzione dei rapporti coniugali ormai deterioratisi e su incontri “pacificatori” che la Conigliaro avrebbe avuto con il marito anche alla presenza dei due arrestati.
Già nelle perquisizioni seguite nell’immediatezza del fermo di maniscalco, i Carabinieri avevano trovato a casa dei Caltagirone delle taniche uguali a quella rinvenuta in contrada Giambascio, oltre a delle immagini sacre, simili a quella ritrovata affianco ai resti ossei ed incompatibile con la professione evangelica di Maniscalco e della moglie, ma compatibili solo con quelle dei Caltagirone.
Quella notte, quando i militari li avevano convocati in caserma per interrogarli, i Caltagirone avevano da subito manifestato ingiustificata animosità, tanto da costringere gli operanti ad ammanettare Antonino che gli si era avventato contro.
I tabulati, inoltre, dimostravano un infittirsi dei contatti, sin dalle prime ore del mattino, nei giorni successivi alla scomparsa della sventurata. Un importante particolare è emerso in relazione ad uno sgombero di rifiuti ferrosi da casa Maniscalco nelle giornate immediatamente successive a quelle della sparizione della donna: tra quei rifiuti, che i Caltagirone avevano raccolto con un loro camion direttamente da casa Maniscalco, ci sarebbe stato un fusto metallico in tutto simile a quello fatto rinvenire da Maniscalco e che conteneva i resti carbonizzati della moglie.
Il riscontro con la ditta che generalmente riceveva i carichi di rifiuti metallici da parte dei Caltagirone ha dimostrato che, nonostante in quel periodo i due avessero effettuato numerose consegne, tra quanto versato e figurante sulle diverse ricevute non figurava alcun fusto metallico. L’analisi delle celle agganciate dai telefoni dei Caltagirone ha inoltre evidenziato, nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa, diversi passaggi nell’area dove poi sono stati rinvenuti i resti.
Rilevante anche il contributo offerto da un’ambientale nella Fiat 600 in uso ai due, a bordo della quale padre e figlio commentavano i timori relativi alle possibili imputazioni derivanti dal loro coinvolgimento nella triste vicenda e la pressoché completa certezza di venirne coinvolti: all’uopo, prima di rendere interrogatorio di fronte al Pm, i due avevano concordato le rispettive versioni dei fatti; ciononostante alle domande postegli sono emersi silenzi, contraddizioni o rifiuti di rispondere.
All’esito degli adempimenti di rito Antonino Caltagirone è stato condotto all’Ucciardone, mentre il padre settantaduenne è stato ristretto in regime di arresti domiciliari. Sembra arrivata alla battute finali l’orribile vicenda di quel femminicidio, di cui gli inquirenti cercheranno ora di chiarire ulteriori dettagli e responsabilità individuali.