394 anni. Tanti ne sono passati dal 1626, l’anno in cui fu sconfitta la peste e iniziò la devozione del Santissimo Crocifisso di Monreale, portato in processione per grazia ricevuta. Da quella data distante quasi quattro secoli, i monrealesi hanno legato indissolubilmente la loro fede e devizione al simulacro custodito presso la Collegiata. Un amore verso il Crocifisso che non si è mai deteriorato.
Quest’anno, però, la processione si è dovuta fermare. Ma non c’è monrealese che non abbia pensato per un secondo al 3 di maggio, giorno della processione. La storia di questo Crocifisso si mescola a racconti tramandati di padre in figlio e leggende. Quella più conosciuta, riferita anche dal Pitrè, vuole il Crocifisso arrivare a Monreale quasi per miracolo, conteso lungamente dai palermitani che ne rivendicavano la proprietà. La decisione finale fu lasciata ad un carro trainato da buoi, su cui fu posto il simulacro, ripescato in mare: i buoi furono avviati e fu deciso che il punto della loro ultima sosta avrebbero indicato il luogo di permanenza definitiva. I buoi, dopo il loro ignaro peregrinare, terminarono il viaggio proprio dove oggi sorge la chiesa della Collegiata a Monreale, divenuta poi abituale sede del simulacro.
La festa si dipana lungo vari giorni. Di solito i primi due giorni della festa sono dedicati esclusivamente al folklore: sfilate di carretti siciliani, gruppi folkloristici, bande musicali. Anticamente in alcune vie del centro si svolgevano le corse dei berberi con la disputa di un palio. Allietano le serate diversi concerti nella piazza detta volgarmente “u bagliu”. Poi la processione. il giorno che richiama a Monreale migliaia di devoti pronti ad affrontare il “viaggio”, più di nove ore di estenuante itinerario cittadino sia per la confraternita dei “fratelli” che per la moltitudine di fedeli, spesso a piedi scalzi, al seguito della Croce. Prima la discesa a spalla dalla Collegiata fino alla Maiolica e lasciato lì in attesa di partire a disposizione dei fedeli. L’ARTICOLO CONTINUA DOPO IL VIDEO
Poi l’inizio del “viaggio”, che attraversa tutto il corso principale, straripante di popolo; il corteo viene anticipato dalla banda musicale, dagli stendardi delle estinte confraternite e dal folto gruppo dei Probandi e Novizi. La “Vara” è portata a spalle da 40 uomini appartenenti alla confraternita del Santissimo Crocifisso. Il privilegio è ereditario ed ebbe inizio nel lontano 1709, nascita della Pia congrega, prima che il simulacro fosse affidato ai laici. Difatti, nel 1626, il fercolo era trasportato da 12 canonici-custodi e accompagnati da altri 12 canonici con un cero in mano. I fratelli indossano un abito peculiare da più di un secolo: un fazzoletto bianco copre il capo, la camicia bianca con pantaloni dallo stesso colore, un nastro rosso attornia i fianchi, impilato alla tovaglia bianca che porta l’immagine del Santissimo Crocifisso e la scritta. Le scarpe sono facoltative, ma devono essere rigorosamente bianche. Il bianco per indicare la purezza con cui ci si deve avvicinare alla bontà misericordiosa di Cristo, e il rosso simbolo dell’amore e del sangue sparso sulla Croce. Abbigliati in questa maniera essi sono ammessi ad “accuddari”: il termine, che può tradursi in “accollarsi”, indica il modo di portare a spalla la vara, mettendo cioè il collo a contatto con l’asta, mentre la spalla sinistra o destra deve servire per alzare il fercolo, alquanto pesante. Il suono di un campanello annuncia l’avvio.
Il Crocifisso comincia il suo lungo percorso per le strade del paese, talvolta assai strette, accompagnato dalle giaculatorie dei fratelli che implorano le grazie al “Patruzzu Amurusu”. L’itinerario è quello tradizionale: via Umberto I con la “vutata” in via Antonino Veneziano, dove è la casa del famoso poeta monrealese, quindi breve sosta al Canale e cambio dei fratelli ad alternarsi al sollevamento della vara, prima di salire per via Pietro Novelli fino all’abbeveratoio. Da qui dopo una sosta più lunga per permettere di rifocillarsi e riprendere energie, ha inizio il percorso di ritorno verso la Collegiata. La ripida discesa di Via Garibaldi, meglio nota come “a scinnuta ru Signuri“, termina a piazza Spasimo dove, come vuole la tradizione, i bambini sono presi in braccio ed avvicinati alla statua, per baciare il Crocifisso.
Quindi dritto filato alla sede del Municipio nella piazza principale, attraverso via Venero, corso Pietro Novelli e via Roma. Sotto il Palazzo di città il tradizionale omaggio floreale del comune con l’inchino degli stendardi che rappresentano la cittadinanza. A tarda notte, quando il simulacro fa ritorno in Chiesa, i fiori che hanno addobbato la vara vanno a ruba: essi, infatti, rappresentano per i fedeli un potente rimedio contro le disgrazie e le malattie. Durante tutto il mese di maggio molti fedeli compiono il “viaggio” in onore del Crocifisso, ripetendo l’itinerario della processione, con ceri accesi e a piedi scalzi, eseguendo una “promissione”: in altre parole un voto per grazia ricevuta.