Confermate anche in appello le condanne a diciassette anni per Salvatore Raccuglia, cinque anni e otto mesi per Giuseppe Serbino e cinque anni per Salvatore La Barbera, nel processo agli estorsori di Giovanni Sala, imprenditore di Altofonte, supportato e assistito da Addiopizzo, con cui si è costituito parte civile. In un territorio difficile che ha da sempre rappresentato una cerniera tra gli interessi dei mandamenti mafiosi di Villagrazia di Palermo e San Giuseppe Jato, denunce come queste rappresentano delle scelte di rottura molto significative.
Il racconto di diciassette lunghi anni di minacce ed estorsioni subite dalla vittima e perpetrate da diversi esponenti di Cosa nostra del paese della provincia, le indagini di magistrati e carabinieri, hanno contribuito a riaccendere i riflettori su quanto accadeva ad Altofonte e nei confronti di molti che nel paese gestiscono attività economiche. La storia di vessazione e di denuncia di Giovanni Sala, seppure non abbia conosciuto ribalte mediatiche, è l’emblema di ciò che sono, spesso, costretti a subire coloro che esercitano un’attività economica in provincia e soprattutto di come sia tutt’altro che scontato maturare scelte di rottura in piccoli paesi, dove tutti sanno tutto di tutti.
“Ricordo perfettamente, come fosse ieri, quando ci siamo incontrati e abbiamo iniziato insieme questa esperienza. In quella circostanza una delle prime cose che mi ha colpito molto sono state la sobrietà e la dignità con cui Giovanni aveva intrapreso la scelta di scrollarsi di dosso diciassette anni di umiliazioni ed estorsioni subite e pagate – scrive in un post su Facebook Daniele Marannano, presidente di AddioPizzo – Non si trattava di mettere a verbale il racconto di chi non aveva mai pagato e che ad un certo punto aveva respinto un fortuito ed isolato tentativo di estorsione. La storia di Giovanni era molto più pesante e per questo la sua scelta di denuncia ancora più significativa oltrechè di rottura. Si è trattato di raccontare diciassette anni di solutidini, soprusi, sottomissioni ed estorsioni. Un racconto reso ancora piu difficile perché maturato ad Altofonte, in periferia, in un paese di provincia, dove tutti si conoscono e niente e nessuno si nasconde e si disperde, come invece accade nelle grosse città”.
“Nei piccoli centri con chi ti chiede il pizzo giocavi insieme da piccolo, frequentavi la stessa scuola – prosegue Daniele – Nei paesi, incontri, senza particolari difficoltà, familiari, parenti e amici di chi ti ha estorto, anche dopo che questi è stato arrestato per la tua denuncia. Incroci i loro sguardi per strada, in chiesa per la messa della domenica, al bancone del bar della piazza e anche a scuola, dove i tuoi figli frequentano lo stesso istituto di chi ti ha taglieggiato.
Ma a fronte di ciò Giovanni ha preso e portato avanti una scelta senza indugi e soprattutto senza ricercare ribalte, continuando a lavorare, dalla mattina alla sera, con dignità e sobrietà, come faceva prima e come continua a fare adesso mentre l’ho abbiamo appena sentito per informarlo che anche in appello i suoi estorsori sono stati tutti condannati. Per questo continuiamo ad operare nelle aree anche più periferiche del palermitano, dove la mafia ha storicamente mantenuto forte e saldo il controllo del territorio, forse più di quanto possa riuscire a fare, ormai da tempo, in città, per contribuire a creare un’alternativa per chi ancora oggi non ha maturato quella forza e quella fiducia per liberarsi dal fardello delle estorsioni”.